domenica 16 novembre 2008

L’importanza di CHIAMARSI Democratico

“L’importanza di ESSERE Democratico”, si dovrebbe dire, giocando sul titolo della famosa commedia di Oscar Wilde: “The importanze to be Ernest”. Il titolo inglese, infatti, fa leva sul termine “earnest”, che significa affidabile ed onesto, e si pronuncia esattamente come il nome del protagonista. La traduzione del doppio senso, nel titolo italiano, è impossibile. Ci si accontenta di alternare la versione “L’importanza di chiamarsi Ernesto”, a “L’importanza di essere Onesto”, per restituire il senso dell’originario gioco di parole. La splendida vittoria di Barack Obama, alle Presidenziali degli Stati Uniti d’America, è piena di significati, tutti splendidamente riassunti nel suo discorso di Chicago. Il futuro Presidente della nazione più ricca e potente del mondo, è al tempo stesso un uomo di colore, figlio di un africano musulmano del Kenya, ed ha cominciato ad interessarsi di politica da meno di dieci anni. Prima di questo, il giovane Obama ha lavorato come assistente sociale, ha conseguito una laurea in Legge a Harvard nel 1991, a 30 anni, ed ha lavorato come avvocato per i diritti civili, ed insegnante di diritto costituzionale. La sua breve carriera politica, lo ha visto mettersi in gioco, per ben due legislature, come senatore dell’Illinois, vincendo sempre la sfida del voto, con la forza delle proprie idee, sorretto dalla sua gran preparazione e competenza. Barac Obama si chiama Democratico e Barack Obama è Democratico. La forza delle sue idee, ed il coraggio di conquistare, competitivamente, il consenso per i suoi programmi, senza partire sempre e comunque dal comodo sostegno di un partito alle spalle, lo qualificano veramente come tale. Barack Obama ha piuttosto davanti a sé, un futuro in cui sarà lui stesso ad occuparsi del suo partito e della sua Nazione. Il gioco della vera democrazia, evidentemente molto ben praticato in America, lo ha fatto emergere, attraverso una sorta di selezione naturale, applicata alle idee, ai programmi ed alla politica. La prima, splendida vittoria, contro la potente Hillary Clinton, ha dato a tutti la misura di quanto, in un sistema aperto, le idee migliori possano contagiare le masse e restituire vitalità al termine Democrazia, così ben spiegato già da Aristotele.

Il pensiero e la memoria, corrono alle meno famose primarie che hanno incoronato Walter Veltroni. A noi Italiani, potrebbe venir naturale fare un confronto con il leader americano, dell’omonimo partito. Il paragone è tanto naturale, quanto del tutto semantico o, per meglio dire, puramente letterale. Il Partito Democratico di casa nostra, è effettivamente tale o semplicemente, si chiama, nello stesso modo di quello del futuro Presidente degli Stati Uniti d’America ? In Italia non si è visto un metodo che permettesse di formare, in modo democratico, le gerarchie di questo partito. Ci si ricorda invece di comitati di saggi, ristrutturazioni di vecchie gerarchie, candidature non accettate, l’assenza di un vero processo di costruzione dal basso. In quei giorni, pensai, forse con qualche presunzione di troppo, ma senza fare nulla di male: “perché io no ?”. Perché, pur attirati dal nome di questo nuovo partito, molti italiani della classe media, come il Barack americano, non hanno avuto una minima possibilità, di mettere in campo la forza delle loro idee, e della loro competenza ? La risposta è chiara: per lasciare lo spazio a Walter Veltroni, Rosy Bindi ed Enrico Letta mischiati ad uno sparuto gruppo di outsider, facilmente sconfitti. La Casta, come abilmente i giornalisti Rizzo e Stella, hanno definito i nostro oligarchi del Palazzo, non ha nessuna voglia di mettere veramente a rischio i propri privilegi, giocando ad essere veramente Democratici. Molto meglio dirsi tali, e tirare avanti. Dall’altro lato dello schieramento politico, di democratico, neppure il nome. Si direbbe che in Italia avremmo bisogno tutti, sul serio, almeno di un partito democratico. Tuttavia, questo bel privilegio, non c’è concesso, come a dire: “Non si può fare !”.

Termino qui il commento, ed inizio a parlare di proposte. “L’uomo è per natura un animale politico”, diceva Aristotele, all’inizio di una lunga sequela di saggisti e storici che, attraverso Cicerone, Machiavelli, Hobbes, Montesquieu e Marx, giunge oggi, a Giovanni Sartori. Decisamente siamo tutti d’accordo, almeno sulla prima parte. Allo stesso modo, sembra facile intendersi tra persone diverse, sul significato generale del termine “politica”. Potremmo dire, ripercorrendo le definizioni che hanno attraversato la storia, che essa è qualche cosa di non troppo diverso da:
1. l’arte di governare la società;
2. l’amministrazione della cosa pubblica per il bene collettivo;
3. la sede delle decisioni legittime all’interno di una società;
4. l’espressione di un contratto sociale che innalza lo Stato sopra di tutti, a garanzia di ciascuno;
5. la sfera delle decisioni collettive sovrane;
6. altro ancora.

Chi è il politico? Scartando la risposta: “è colui che esercita la politica”, troppo banale, cerchiamo di capire chi, generalmente, si può definire tale. In Italia, ma forse ancora più in generale, nel vecchio mondo, i politici, sono spesso persone che si occupano, in modo continuo ed esclusivo, di politica. Qui da noi sembra proprio che l’esempio di Lucius Quinctius Cincinnatus (500 a.C. circa), conosciuto come Cincinnato, continui ad essere poco seguito. Al contrario, capita quasi sempre che molte persone trovino un comodo e, tutto sommato, agevole modo di cavarsela, specializzandosi nel mestiere di politico. La carriera è riassunta dal percorso quasi naturale che fanno molti assessori comunali che, passando per le Province, si assestano comodamente negli scranni delle regioni, per poi, nei casi più fortunati, insediarsi bene nelle due capienti camere del parlamento italiano. La scalata del potere, quindi, avviene quasi sempre per gradi, e si fa molto più agevolmente, se legati in cordata. Chi è sopra, tira, e chi è sotto, spinge. La ripida parete della politica, in quest’immagine presa a prestito dall’alpinismo, è piena di comode sporgenze, dove riprendere fiato, ed attendere agiatamente il proprio turno di salita. Qualche esempio di questi balconi naturali? Un posto di consigliere, o la direzione di una delle molte Aziende pubbliche, i vertici di una banca, un prestigioso incarico in una delle tante Authority, o la partecipazione ad un’importante commissione. La fantasia non ha limiti, in questo gioco solidale di reciproco sostegno, che i professionisti della politica mettono in campo, continuamente. La cosa si è così sviluppata, che alla fine, quella del politico, è diventata una vera professione. A differenza delle altre, però, sembra avere nella sua conservazione, l’unico vero scopo, ed il solo indice di successo.

Propongo, a chi lo voglia fare, un piccolo, innocente, esperimento. Chiedete prima a voi stessi, e poi a qualche amico, il nome dei politici attuali più in gamba, della sinistra e della destra. Senza parlare di Berlusconi, una statistica casereccia, fatta tra conoscenti, mi ha invariabilmente proposto i nomi di D’Alema, Veltroni, Fini, La Russa e Casini. A questo punto ho chiesto cosa fosse cambiato in meglio nella vita degli Italiani, ed in quella degli interpellati, grazie al lavoro di queste persone. Ho chiesto anche a quali importanti risultati pubblici, quei signori dovessero la loro popolarità. Qui le risposte praticamente si fermano. Tutti ragionano e cercano di capire se la burocrazia sia diminuita, la legalità aumentata, l’efficienza della cosa pubblica incrementata, l’istruzione migliorata o gli sprechi calati, a causa dell'azione diretta di questi signori. In realtà i campioni della destra e della sinistra nostrana, sono primi, principalmente, per la loro predominante presenza nell’agone politico, potenti paladini di ideali lontani, dissimulati artefici dei loro stessi interessi. Indice del loro successo è la successione delle cariche ricoperte, non l’elenco delle cose utili e lodevoli per le quali la società tutta, deve rendergli grazie. L'esperimento dimostra che, in Italia, il politico non è considerato bravo, se fa cose buone per la collettività, ma se resta al suo posto a lungo, resistendo impavido negli anni.Prova ne è la faziosità seminata ad arte. I Signori della politica nostrana, sprovvisti di contenuti socialmente utili, debbono ideologizzare il confronto politico, ridurlo ad una continua contrapposizione ideologica, per nascondere la totale assenza di proposte concrete. Ogni posizione della parte avversa, è presa a pretesto per manifestazioni di piazza, si parla di "quelli di sinistra" come di "quelli di destra", si tirano fuori del cilindro improbabili e forse inutili "commissioni", per discutere di argomenti che, un serio tavolo di tecnici, risolverebbe in poche settimane. Di questi giorni, la furba trovata della bicamerale sul federalismo fiscale, con cui due di questi Oligoi, pensano forse di affossare il federalismo voluto dalla Lega nord. E' quasi comico pensare che politici così carenti di idee e di proposte concrete, possano veramente proporre qualche cosa di utile per gli Italiani. Il campo del loro agire è unicamente l'ideologia politica mentre, invece, se parliamo di federalismo, bisognerebbe dare voce ad amministratori capaci. La politica non serve ad alimentare estenuanti battaglie ideologiche, ma a cambiare in meglio, ogni giorno, le cose che riguardano la vita di tutti, ad operare le scelte per il futuro.Ecco che emerge con forza il bisogno di regole nuove, che permettano un continuo rimescolamento del mondo della politica, con la società civile. Bisogna portare al governo amministratori capaci, e non solo chi, privilegiato, si dimostri capace solamente di lodevoli guizzi ideologici. Purtroppo però, l'ascensore sociale, o meglio quello politico, non funziona bene da noi, come negli Stati Uniti.

Non voglio però che tutto questo sia letto semplicemente come l'accusa ai politici, di tenersi separati e sempre un poco sopra la società civile. L'accusa deve essere principalmente rivolta contro l'arrendevolezza degli Italiani. Siamo noi cittadini a restare in disparte, come spettatori. Continuiamo stupidamente ad indignarci per le parole di un Presidente o protestiamo a priori contro qualsiasi proposta venga dalla parte avversa, insomma, non facciamo niente più che un patetico tifo da stadio. Pavidi, ci sentiamo rassicurati dal senso d’appartenenza ad una fazione, dandoci pacche sulle spalle, mentre compatiamo quei poveri stupidi della parte avversa. Non a caso, questo popolo che pratica così poco lo sport, è anche un popolo d’appassionati tifosi: allo stesso modo, siamo faziosi, almeno quanto lenti all'impegno politico. Scendere in piazza, senza neppure sapere per che cosa si faccia, o sapendolo per grandi linee, ebbri prima di tutto della nostra idiota appartenenza ad un gregge, la dice lunga sulla nostra naturale pigrizia civile.

E' ora, invece, di rimboccarsi le maniche e ragionare su quale futuro vogliamo per i nostri figli. Cominciamo, ad esempio, ad introdurre la vera democrazia nei nostri partiti. Pretendiamo che internamente ad essi si creino dei forti e veri rimescolamenti che portino finalmente, la migliore società civile, a confrontarsi ad armi pari con l'oligarchia dei politici di mestiere. La classe media è fatta di persone serie nei fatti, non nei proclami, che vivono i valori sulla loro pelle, non sui manifesti elettorali, selezionate dalle prove della vita e nell'ambito dei loro mestieri, non nelle segreterie dei partiti. Gente che si è misurata con un sistema ancora largamente competitivo e che è capace di leggere da dentro i bisogni della società civile. Ne conosco molta di questa gente, sono uno di loro, completamente. Non credo che la coscienza di avere, umilmente, le capacità e la voglia di fare qualche cosa d’utile per il proprio paese, non per farne una professione, sia da lasciare senza risposta ancora per molto tempo.