martedì 20 gennaio 2009

La morte di Luigi Preti

E' morto un grande italiano. Un uomo che ha creduto e combattuto per la democrazia. Giovane antifascista, membro della Costituente, varie volte ministro. Fu tra i fondatori del Partito Socialdemocratico Italiano.

Quando ero ragazzo le pagine di un suo bellissimo libro, Giovinezza Giovinezza, mi aprirono gli occhi alle responsabilità che anche i giovani devono assumersi in politica. Si tratta di un testo sempre attuale. In un presente in cui alcuni nostri giovani, annoiati, non trovano di meglio che darsi al bullismo, la lettura di questo romanzo potrebbe essere salvifica. Grazie a Luigi Preti, buon riposo.

sabato 17 gennaio 2009

LEXCIVILIS ANNO ZERO

Dopo più di un anno di vita del blog, sento la necessità di riordinare il materiale migliore e pubblicarlo in un libro. I primi di febbraio sarà disponibile al prezzo di copertina di € 9,00 che mi permette di venderlo in qualche libreria amica, senza rimetterci troppo. Non è quindi a scopo di lucro, ma per fissare i miei pensieri sulla carta in maniera definitiva. L'impegno civile matura anche attraverso strumenti come i libri. Per chi fosse interessato, ci sarà presto un box a lato, con le istruzioni per ricevere le copie di LEXCIVILIS ANNO ZERO. Per il momento si può scrivere una email all'indirizzo lexcivilis@gmail.com , dichiarando il proprio interesse a riservarsene una copia. Il libro sarà dotato di codice ISBN proprio. 

Ecco qui sotto lo spot su Youtube, che prende a spunto la vicenda della pubblicità atea sui bus di Genova:


Ecco invece di seguito il testo della quarta di copertina del libro:

Nella nostra Italia di oggi, i valori della carta costituzionale rimangono chiusi tra le pagine dei libri. Dobbiamo riflettere su un concetto di servizio e di legge, che possano meritarsi l'aggettivo civile, per il particolare valore dimostrato in termini di rispetto dei diritti privati e sociali dei cittadini. Ripercorriamo insieme il periodo da settembre 2007 fino ad oggi, per guardare con gli occhi di un cittadino del ceto medio, la triste realtà alla quale ci siamo purtroppo assuefatti. Leggi incomprensibili nei contenuti e nell’esposizione, blocco totale di qualsiasi vera innovazione nella politica e nella società. Il popolo che ha partorito il Diritto Romano ed il Rinascimento, è oggi colpevolmente succube di una classe politica scontrosa ed inefficiente, e della sua dipendenza storica dai recinti delle corporazioni. Solo dalla riscoperta dell’impegno civile di tutti, può venire l’alba di una nuova era di vera e compiuta democrazia.

domenica 11 gennaio 2009

La politica in televisione, spot o fatti?

Nelle teche RAI[1] ho potuto rivedere un discorso di Alcide De Gasperi. Mi ha colpito per quanto era bello, profondo e comprensibile. Non credo di mancare di rispetto a nessuno, se dico che da allora, non abbiamo avuto più modo di ascoltare interventi politici altrettanto belli. Quello che De Gasperi comunicava con le sue parole e con la sua vita, è stato un esempio mai più raggiunto nei tempi successivi. La differenza con chi si occupa di politica oggi, è molto marcata. De Gasperi era un vero statista, un uomo di grande cultura e preparazione, un patriota, un vero servitore dello Stato. Oggi penso che di uomini e donne come lui ve ne siano molti in Italia. Nessuno di essi, probabilmente si occupa con successo di politica. Mentre il filmato del 1946 scorreva, rimanevo incantato ad ascoltare l’allora Primo Ministro parlare con quel tono vagamente enfatico che si usava allora. Mi hanno rapito il contenuto, la forza, e la coerenza che c’erano dietro alle sue parole.
Oggi purtroppo sopporto a stento gli interventi dei nostri politici, immancabilmente riportati dai telegiornali. Ho sempre l’impressione che la parte più in risalto dei notiziari televisivi, sia proprio la politica. Se non accade qualche cosa di importante, i telegiornali si aprono con una successione degli interventi dei politici. Tutti, a turno, devono fare la loro comparsa. Non serve neppure che ci sia una polemica in corso. L’occasione può essere un’inaugurazione, un convegno, una presentazione. Comunque sia, il parere dei nostri parlamentari ci giunge ogni mattina, pomeriggio e soprattutto sera, senza risparmiare praticamente nessuna edizione. Telegiornali e trasmissioni di informazione ed intrattenimento, sono un palcoscenico molto ambito da chi vuole apparire. I direttori ed i loro giornalisti evidentemente non sono in condizione di rifiutare tanta generosa partecipazione.
Trasmissioni come Omnibus, su La7, od il caffè di Corradino Mineo, di RaiNews24, trasmesso la mattina su Rai3, hanno una decisa prevalenza tra gli ospiti, proprio di politici. Parlo non a caso di due trasmissioni che mi piaccio molto, ed a cui non saprei fare alcuna critica. Nel caso della seconda, l’emittente elenca le diverse puntate su internet, ricordando anche il nome degli ospiti. Mi sembra un bell’esempio di trasparenza e di chiarezza, che molte altre trasmissioni dovrebbero imitare. Per questo motivo, sono riuscito a fare una ricostruzione su ben sessantaquattro puntate, trasmesse dal primo luglio al diciassette ottobre 2008. Per ciascuna puntata ho trovato gli ospiti, rintracciandone l’origine, politica o meno. Quindi ho fatto una tabella, riassunta nel grafico che potete vedere qui sotto.

Come si vede, la presenza di ospiti non politici, come potrebbero essere giornalisti, esperti tecnici, personaggi della cultura o della scienza, rappresenta solo il ventotto per cento del numero degli ospiti. Pur riconoscendo che il direttore Mineo è davvero un intelligente ed equilibrato moderatore, e che probabilmente la politica sia l’argomento principe della trasmissione, il settantadue per cento di presenza di politici sembra veramente tanto. Se si parla di politica, forse ci si scorda che i soggetti non sono solo i rappresentanti dei partiti, ma anche i cittadini amministrati, le associazioni e le categorie per cui si fanno le leggi, gli esperti dei settori di cui si interessa la politica, gli storici, gli analisti. Dare spazio a questo tipo di persone renderebbe più profonda la riflessione sui contenuti della politica, portando la gente a ragionare sui fatti esposti.

Spesso però anche i telegiornali diventano, su questo fronte, una raccolta di diversi pareri, senza che vi sia una buona razione di fatti. A fronte di un evento politico, ci si aspetterebbe un’ampia ed imparziale rappresentazione degli avvenimenti, alla quale far seguire al massimo i pareri degli interessati. Mancando la prima parte, le cose che accadono ci vengono direttamente presentate dalle dichiarazioni dei politici. Il giudizio degli spettatori si basa quindi sull’adesione quasi sempre scontata alla versione fornita dai rappresentanti la propria fede politica. I giornalisti non si sbilanciano, e nel contempo guadagnano la gratitudine dei rappresentanti dei partiti. Oltre che nei notiziari, la presenza dei politici è alta soprattutto nelle trasmissioni di approfondimento. Ve ne sono alcune fortemente incentrate sulla politica, come Matrix, Porta a Porta, Ballarò, Annozero, Omnibus, L’Infedele, Otto e mezzo. Oltre a queste, altre trasmissioni di intrattenimento usano con successo le apparizioni in video dei politici per fare ascolti, come Striscia la Notizia o Le Iene.
Restando ai notiziari televisivi, si può cercare di calcolare la presenza della politica e dei politici. Per questo ci si può avvalere dei dati che la AGICOM (Autorità per le garanzie nelle comunicazioni), dovrebbe raccogliere per assolvere ai suoi compiti di controllo del pluralismo sociale, politico, ed economico, nel settore della radiotelevisione. Questi dati sono disponibili, inspiegabilmente, solo fino a settembre 2008. Da allora non c’è stata più nessuna relazione in merito. Ho quindi utilizzato il rapporto “Pluralismo politico in televisione 1–30 settembre 2008”, scaricabile dal sito dell’autorità, evidenziando i tempi di presenza della politica nei telegiornali delle fasce orarie 12-14 e 19-21. I telegiornali in questione sono quelli delle tre reti RAI, delle tre Mediaset e di La7. Le tabelle AGICOM distinguono il tempo di parola del soggetto politico od istituzionale, quello di notizia, e la somma dei due, detta tempo di antenna. Per soggetto politico, si intende chi parla in rappresentanza di partiti o formazioni politiche, mentre per soggetto istituzionale, un rappresentante delle istituzioni, sia pure chiaramente un politico. Un intervento del presidente Fini, ad esempio, è conteggiato nel tempo istituzionale, a meno che non parli a nome del suo partito. Usando le guide tv, ho poi ricavato la durata complessiva dei telegiornali in questione. Questo dato potrebbe essere leggermente sovrastimato.
Il risultato è esposto nella tabella seguente.

Emerge che i rappresentanti dei partiti e delle istituzioni parlano nei principali telegiornali per il 4,8% del tempo, ossia per quasi undici, su duecentoventitre, ore di trasmissione al mese. Complessivamente l’informazione politica che si aggiunge alle parole dei politici, impegna un ulteriore 6,6% del tempo. Oltre l’undici per cento del tempo, della nostra informazione delle fasce di maggior ascolto, è diviso quasi a metà tra l’informazione istituzionale e politica, e le dichiarazioni dei politici.
Invece dei telegiornali principali, si può calcolare la durata complessiva di tutti quanti quelli trasmessi nel mese di settembre 2008. Si ottiene una valore che oscilla tra le cinquecentoottantotto e le cinquecentonovantacinque ore. L’incertezza del dato è legata alla difficoltà di ricostruire tutti gli orari a partire dalle guide tv. Ammettendo di aver fatto un errore pari ad un’ora in più od in meno, per ciascuna giornata ed emittente, la presenza in parola, notizia, o tempo di antenna, dei politici è la seguente:



Parrebbe una percentuale molto piccola. Certamente questi dati sembrano in disaccordo con la percezione di una vera occupazione dei telegiornali da parte dei politici, che accomuna molti italiani. Può esserci più di una spiegazione per questo fenomeno. Ad esempio il fatto che la politica sia quasi sempre il pezzo di apertura dei TG, rende questo tipo di argomento maggiormente evidente. Inoltre il fatto che nelle parti finali di telegiornali si trattano spesso argomenti leggeri e di costume, può far si che molte persone non li seguano fino alla fine. In tal caso il telegiornale visto, sarebbe sensibilmente più corto di quello trasmesso, e la percezione del peso percentuale della parte politica, aumenterebbe. Infine, più per completezza che per convinzione, si può dire che le statistiche siano sbagliate e diano una misura ridotta della presenza dei politici in tv.

Certamente, legandomi idealmente alle considerazioni con cui ho aperto questo capitolo, la bassa qualità degli interventi dei nostri attuali politici, spesso intrisi di polemica e vuoti di contenuti, ce li fa percepire come più pesanti, anche in durata, di quanto non siano in realtà. Il telegiornale, per molti, è una vetrina dove fare uno spot personale, quando arriva il proprio turno. La pubblicità, si sa, stufa e sembra non finire mai. Ma se tornasse a parlare ancora, qualcuno come De Gasperi, il suo discorso ci sembrerebbe sempre troppo breve. Il tempo, come tutto, è relativo.

[1] Le teche RAI sono spezzoni di trasmissioni del passato, disponibili per la visione su internet.

domenica 4 gennaio 2009

Sicurezza stradale al microscopio

Ogni anno cinquemila persone muoiono in Italia a causa degli incidenti stradali, una ogni due ore circa. Questa rappresenta l’1% tra tutte le cause di morte. Una vera carneficina in cui altre trecentomila persone rimangono ferite più o meno in maniera grave. Si tratta di un numero di vittime pressappoco doppio di quello del terremoto dell’Irpinia del 1980. Se si allarga la visuale all’Europa i morti diventano quarantamila ed i feriti oltre un milione e settecentomila. Per questo la Commissione europea si è data l’obiettivo di ridurre della metà, rispetto ai valori del 2001, il numero dei morti per incidenti stradali entro il 2010.
Il problema italiano è impressionate. Nel sito dell’ISTAT si possono trovare le statistiche dettagliate di questo terribile fenomeno. Ciccando sul link seguente si accede alla Relazione sugli incidenti stradali del 2006 dell’ISTAT.

Si scopre così che nel 2006 oltre la metà delle 1.341 morti sui luoghi di lavoro è avvenuta proprio sulle strade, rappresentando il 12,3% delle vittime complessive degli incidenti stradali che, nello stesso anno, sono state 5.669. Volendo raggiungere gli obiettivi posti dalla Comunità europea, bisogna attivare politiche di sicurezza che permettano di abbassare il numero delle vittime della strada ad un valore inferiore alle 3.341 persone. Questo però è praticamente impossibile, secondo l’andamento pur virtuoso della diminuzione dei decessi misurato negli ultimi anni.
La sicurezza stradale è un esempio perfetto di quanto, per affrontare efficacemente la gestione di argomenti complessi, sia importante partire da un’analisi accurata dei dati reali. Generalmente è poco piacevole dover studiare statistiche e dati, leggere materiale informativo ufficiale e cercare di trarre da tutto ciò una strategia risolutiva di un problema. È più facile pontificare sulla base di una nostra personale e ristretta visione dell’argomento. In questo caso potremmo sentirci tutti esperti per aver avuto anche una sola volta un incidente o per averne vissuto uno di un nostro caro, od ancora sull’onda dell’emozione suscitata da una notizia. Magari sappiamo sempre dire la nostra sull’argomento, solo perché ripetiamo quanto sentito da qualcuno che ci è apparso informato e degno di fiducia. Tutto decisamente più facile, veloce e comodo, del dover impiegare un poco del nostro tempo nel farci un’opinione informata sui fatti. L’analisi dei dati sui morti per incidente stradale ci permette però di sperimentare come spesso la visione della realtà contrasti decisamente con una percezione più superficiale del fenomeno. Chi vuole cominciare a pensare con la propria testa, può quindi leggere la seconda parte di questo pezzo e scoprire cose interessanti, pagando il piccolo prezzo di dover affrontare qualche tabella, un po di ragionamenti e molti dati. Forse vale la pena farlo, dato che molti dei nostri affetti e della nostra salute, viaggiano ogni giorno sulle strade. Se non vogliamo faticare almeno un pò, perlomeno non lamentiamoci delle politiche di sicurezza stradale affrettate e semplicistiche di cui prima o poi possiamo cadere vittime. Chi non volesse affaticarsi con la lettura di molti dati, passi direttamente alla parte finale del pezzo, dove può trovare alcune conclusioni.


I dati statistici e le ricerche

Capiamo subito perché non potremo raggiungere l’obiettivo europeo di dimezzare i morti sulle strade dal 2001 al 2010. Vediamo il numero dei morti per incidente stradale presi dai dati ISTAT dal 2001 ad oggi, ai quali sono state aggiunte le previsioni fino al 2010, nell’ipotesi che si confermi la diminuzione media fino a qui realizzata.

Con i ritmi attuali, è praticamente impossibile raggiungere nel 2010 l’obiettivo posto dalla Comunità europea. Per riuscirci bisognerebbe ridurre il numero dei morti, dal 2007 al 2010, di circa milleottocento unità, con una riduzione annua di oltre il 13%, mai realizzata prima. Bisognerebbe attendersi risultati straordinari che imporrebbero di triplicare l’efficacia degli interventi già posti in essere. Per riuscire nell’intento bisogna proporre ed attivare velocemente politiche di sicurezza stradale molto più valide. Serve guardare con grande attenzione le statistiche per scoprire le situazioni maggiormente rilevanti, che dovrebbero quindi essere affrontate per prime. Per questo prendo a spunto i dati ISTAT del 2006, avendo verificato come questi si ripetano sostanzialmente anche nel 2007.

Le prime quattro cause di incidente sono responsabili del 73% delle morti. Lavorare su queste, prima che sulle altre, permetterebbe di aumentare l’efficacia degli interventi necessari a ridurre le morti.

Nelle statistiche per tipo di veicolo, su un totale di ben 218.124 incidenti, al primo posto troviamo le autovetture con il 70% dei casi, seguite dai motocicli con il 12%, dai ciclomotori con il 9% e dagli autocarri con il 6%. Autobus, tram ed alti veicoli causano solo il 4% degli incidenti. Ecco che i veri killer delle strade sembrano essere proprio le autovetture, in misura oltre dieci volte maggiore dei famigerati TIR. Posto che tutte le morti sono importanti, agire principalmente sulla prevenzione degli incidenti che coinvolgono le autovetture, inciderebbe maggiormente rispetto al farlo per altri tipi di veicoli.

La categoria di strada più pericolosa è senza dubbio quella urbana dove si verificano il 44% delle morti. Un altro 46% perde la vita sulle statali, regionali, provinciali e comunali extraurbane, mentre solo il 10% in autostrada. Qui appare chiaro un altro aspetto del problema, quello della responsabilità del gestore stradale. Le autostrade sono date in concessione a privati che hanno grande interesse a porre la massima attenzione nella prevenzione delle morti. Per le strade urbane, regionali, provinciali ed extraurbane, invece, i responsabili sono protetti dalle fumose nebbie della pubblica amministrazione. Sarebbe bello pensare che i dirigenti pubblici, preposti alla manutenzione delle strade, debbano subire un automatismo che leghi i premi sui risultati, al numero degli incidenti. Per questi gestori, il concetto di Responsabilità, è sicuramente utile a far valere gli onori, mentre potrebbe esserci meno attenzione sul fronte degli oneri.

La tipologia di strada più letale è quella della carreggiata a doppio senso, in cui si verificano il 76% dei decessi.

Coerente anche il dato sulle caratteristiche del tratto di strada che, in questa macabra classifica, vede in testa i rettilinei con il 50% dei casi.

L’analisi delle condizioni climatiche sembra invece rilevare una scarsa importanza, dato che ben il 77% dei morti è rimasto coinvolto in un incidente letale, con il sereno.

Avuto occhio per il dove, gettiamo uno sguardo adesso sul quando. È utile guardare alla distribuzione temporale delle morti, per verificare se su questo fronte si possano trarre utili indicazioni per politiche di sicurezza stradale. L’andamento in funzione dei mesi, mostra ben otto mesi sopra la media mensile di 472 morti. Il periodo da gennaio a marzo si presenta come quello meno letale. Senza perdersi in particolari elucubrazioni, sembra chiaro che il dato è facilmente spiegabile con il minor numero di autovetture in circolazione, posto che il traffico commerciale non ha motivo di subire flessioni rilevanti in un particolare periodo dell’anno. Meno macchine in giro, uguale meno morti, sembra essere un’equazione facilmente leggibile dal dato mensile. L’osservazione non è del tutto banale se la si legge in relazione alla necessità di potenziare le politiche di trasporto pubblico alternative alle autovetture. Meno macchine in circolazione non si hanno solo a causa della stagione fredda, ma possono ottenersi anche avendo più treni, metropolitane e tram a disposizione.

Passando dai mesi, ai giorni della settimana, possiamo vedere come si distribuiscano su di essi i decessi al volante. Si vede chiaramente che tra il venerdì ed il fine settimana si concentrano il maggior numero di eventi letali. Forse quando si parla di guidatori della domenica si svela una macabra verità.

Ugualmente utile è la distribuzione del numero dei morti in base all’ora[1] del giorno. La media oraria di queste morti è di 236, sommando in un solo giorno tutti quelli dell’anno. Le ore pomeridiane si mostrano subito come le più fatali. Una speciale attenzione dalle sedici alle diciannove, classico orario di rientro dal lavoro per milioni di italiani, potrebbe portare il numero delle morti più vicino al livello medio. Basti pensare che nella diciottesima ora del giorno muoiono sulle strade 386 persone, ben il 63% in più rispetto alla media.

Per finire con le informazioni di natura locale o geografica si vede anche come i morti per incidenti non si distribuiscano in maniera uniforme sul territorio. Guardando il numero di morti sulle strade per centomila abitanti, su base regionale, si scopre che il terzetto più virtuoso è rappresentato dalla Valle D’Aosta, dalla Campania e dalla Liguria. Il podio dei meno lodevoli in questo campo è invece formato dall’Emilia Romagna, dall’Abruzzo e dal Friuli Venezia Giulia che triplicano i dati delle regioni dall’altro lato della classifica.

Fin qui si è potuto vedere il dove ed il quando avvengono le morti per strada. Rimane da capire invece le cause che le provocano. Per questo ci aiuta la Relazione ISTAT per il 2006 che ci presenta una chiara distribuzione percentuale dei motivi alla base degli incidenti.

Salta all’occhio la bassa rilevanza del problema, invece largamente evidenziato dai media, dell’alcolismo al volante. L’alterazione dello stato psico-fisico del conducente comprende anche cause come i malori, i colpi di sonno, il rimanere abbagliati. L’alterazione per alcool o droghe pesa in assoluto solo il 1,56% sul totale delle cause, ossia il 78% del 2% sopra evidenziato. Guardando dentro il comportamento scorretto alla guida, troviamo che questo 94,66% è composto da un 17,74% di mancato rispetto dello stop, semaforo o precedenza, da un 15% di guida distratta, un 12,74% di velocità troppo elevata, ed un 10% di violazione della distanza di sicurezza, oltre che da tutta una serie minore di manovre irregolari.
Il dato sorprendentemente basso dell’uso di alcool e droga al volante, è in contraddizione con quanto viene evidenziato sulle pagine web della Polizia stradale che dice «Il 30% degli incidenti stradali è attribuibile all’alcol». È possibile che sia più vicina al vero la Polizia stradale, rispetto all’ISTAT. Infatti la maggior parte degli incidenti capita in aree urbane, dove intervengono prevalentemente le polizie municipali spesso sprovviste di misuratori del tasso alcolemico. Nelle strade extraurbane di grande comunicazione, interviene invece quasi sempre la Polizia che dispone più facilmente di tali dispositivi. La Polizia di Stato nel rapporto presentato a fine del 2006, denominato “Attività della Polizia Stradale” dichiara ben 24.803 infrazioni per guida sotto l’influenza dell’alcool, su 91.408 incidenti rilevati, esattamente il 27% dei casi. A questi si aggiungono 1.904 infrazioni per uso di sostanze stupefacenti, per un altro 2%. Se un domani vedremo le polizie locali dotarsi di appositi strumenti di misurazione dell’alcool nel sangue, probabilmente parte degli incidenti per comportamento scorretto, saranno classificati più correttamente tra quelli per alterazione dello stato psico-fisico. Qual è la probabilità reale di subire un controllo del tasso alcolemico? Per rispondere a questa domanda, è utile leggere il rapporto “Tasso alcolemico e uso di sostanze durante la guida: le probabilità di essere controllati”, scritto da Franco Taggi per l’Istituto Superiore di Sanità di Roma, nel gennaio 2006. Si fa riferimento all’attività di controllo fatta nel 2004 dalla polizia e dai carabinieri. I numeri del periodo in osservazione sono sostanzialmente simili in quantità e nelle loro proporzioni a quelli visti nel 2006. Nel rapporto si parla di circa 184.000 controlli del tasso alcolemico e di 92.000 della presenza di sostanze stupefacenti, fatti dalla Forze dell’ordine. Parliamo di un numero di controlli spaventosamente inferiore ai dieci milioni di controlli fatti in Francia nel 2005. Da noi nel 2007 si parlava di realizzare prima della fine dell’anno ben un milione di controlli, ma è davvero difficile capire se ci si sia riusciti. Se vogliamo prendere per valide le statistiche della Francia, che vanta una tradizione di attaccamento al vino molto simile alla nostra e che spesso è presa ad esempio per la severità dei controlli troviamo, sul sito di France 5 dedicato al Code Route (Codice della Strada), questi dati:

Se vogliamo quindi estendere il confronto con altri paesi europei, al tema più generale dei morti sulle strade, possiamo vedere che, almeno nel 2006, siamo più bravi del Belgio, della Repubblica Ceca, della Slovacchia e della Romania, ma meno della Spagna, del Portogallo o dell’Austria. La tabella sotto riportata mostra il numero di morti per incidente stradale per milione di abitanti. È da notare come Francia, Germania ma soprattutto Inghilterra siano stabilmente molto più virtuose di noi.

I dati che vengono esposti sul versante delle vittime mostrano chiaramente che a morire sono prevalentemente i conducenti, seguiti dal trasportati ed in ultimo dai pedoni.

In relazione al genere troviamo una distribuzione che evidenzia come il 77% dei deceduti siano maschi. La prevalenza in relazione all’età induce a parlare purtroppo di strage dei giovani. Infatti i ventenni ed i trentenni sono decisamente al primo posto.

Alcune conclusioni

Quest’indigestione di dati è stata necessaria per avere conferma della bontà di alcune semplici conclusioni. La prima e più inquietante è che sulle strade muoiono soprattutto i giovani. La seconda, preoccupante, è che l’Italia non è sulla strada di raggiungere l’obiettivo europeo di dimezzare le morti per incidente dal 2001 al 2010.
La lettura dei dati mostra che le strade più pericolose sono quelle urbane, extraurbane comunali, provinciali, regionali e statali (90%)[2], a due corsie su una sola carreggiata (76%)[2]. I mezzi di gran lunga più letali sono le comuni autovetture e le motociclette (82%)[2]. Si muore maggiormente con il bel tempo, nei mesi centrali dell’anno ed il fine settimana, in pratica quando il traffico aumenta. Le ore più pericolose sono quelle del secondo pomeriggio, ossia quando si è maggiormente stanchi e chi lavora rientra a casa. Ben il 30% degli incidenti è dovuto all’alcool, in una situazione in cui i controlli sono ridicolamente inferiori a quelli dei nostri vicini europei.
Le rilevazioni su cui si costruiscono le statistiche ufficiali fanno emergere, come causa quasi assoluta, il comportamento di guida scorretto del guidatore (95%)[2]. In tante sere passate a studiare dati sugli incidenti, non ho trovato approfondimenti sullo stato di gestione delle strade da parte dei responsabili. È del tutto chiaro ai miei occhi che si debba definire una sorta di indice di pericolosità di ciascuna strada, soprattutto sulla base delle rilevazioni degli incidenti. Questo deve essere alla base di piani di azione che obblighino i responsabili delle strade ad intervenire con misure strutturali o preventive di controllo.
Dovrebbero essere fatti interventi strutturali per rendere percorribili a senso unico molte vie urbane, e per separare fisicamente le corsie delle strade ad una sola carreggiata. Curve, incroci ed intersezioni dovrebbero essere meglio segnalate e soprattutto presidiate in modo da controllare che chi vi si approssimi, lo faccia a velocità ridotta e con la massima attenzione. I turni ordinari di lavoro della polizia stradale e di quelle locali devono tenere conto delle ore di massima incidentalità, prevedendo un rafforzamento delle pattuglie nel tardo pomeriggio. I limiti di velocità devono essere studiati ed approvati in relazione alla loro effettiva influenza sulla sicurezza del tratto di strada interessato, magari anche aumentandoli, dove attualmente sono troppo bassi. Non deve essere permesso ai comuni, variare arbitrariamente i limiti, al solo scopo di tendere astute trappole per far soldi con gli autovelox. Deve essere invece garantita la percorribilità di lunghi tratti a velocità uniforme, con limiti definiti in relazione all’incidentalità ed alla pericolosità della strada. Nelle strade extraurbane prossime ai centri abitati, spesso si passa dai 90 Km/ora ai 50, quando non ai 40. Questo deve essere evitato anche impedendo di costruire a ridosso delle principali vie di comunicazione, ed evitando o modificando gli accessi che non prevedano adeguati spazi di manovra o vere corsie di inserimento ed uscita. L’urbanistica stradale deve prevedere la costruzione di vie laterali, collegate da svincoli, che isolino il traffico locale da quello a lungo scorrimento. Si deve altresì semplificare e ridurre l’insieme attualmente molto vasto degli enti responsabili delle strade. Oggi aver ripartito queste competenze tra Stato, ANAS, Regioni, Provincie, Comuni, Società concessionarie, ha creato una notevole dispersione degli interventi e deresponsabilizzato i soggetti.
I controlli del tasso alcolemico dovrebbero aumentare moltissimo, ed allinearsi ai valori della Francia. Le polizie locali devono essere dotate di alcolimetri per collaborare all’aumento della sicurezza su questo fronte, in maniera chiara e misurabile da tutti, partecipando ai proventi delle contravvenzioni. I positivi al controllo dell’alcool, recidivi, dovrebbero essere obbligati a sottoporsi ad un ciclo di disintossicazione, prima di riottenere la loro patente. In alternativa al ritiro della patente, per chi dimostri di non avere mezzi pubblici per andare al lavoro, si potrebbe stabilire l’obbligo di recarsi giornalmente al più vicino posto delle forze dell’ordine, per sottoporsi a sue spese alla misurazione del tasso alcolemico.
L’educazione stradale deve diventare materia di esame obbligatoria nelle scuole medie e superiori. La televisione di stato dovrebbe garantire una copertura di informazione oggettiva e di formazione continua, nelle ore di massimo ascolto, sulle tematiche della sicurezza stradale.
Nessuna di queste idee sembra sia mai uscita dalla bocca di un qualsiasi ministro o sottosegretario ai trasporti. Generalmente la sicurezza stradale è un tema gettonato principalmente per farsi un po’ di pubblicità, rilasciando qualche dichiarazione subito prima dei periodi delle ferie, quando milioni di automobilisti si mettono in moto. Si parla di limiti alcolemici e di velocità, ma solo per abbassarli. Si pensa che basti fare una legge, od inasprirne un’altra, per risolvere il problema. Se poi i cittadini non rispettano le sagge norme, allora la colpa non può essere dei nostri politici, tanto previdenti.
Io invece penso che la politica abbia fino ad oggi quasi sempre trattato con grande superficialità la questione, fatta eccezione per l’introduzione dell’obbligo delle cinture di sicurezza e la patente a punti, come pure per i nuovi limiti per l’alcool. Forse non è male anche l’idea della nuova scatola nera sulle autovetture. Quello che manca è però l’effettivo impegno sul fronte dei controlli e della prevenzione. Inoltre sono sempre assenti le necessarie politiche volte ad imporre interventi strutturali, di rifacimento dei tratti di strada più pericolosi.
Per fortuna su questo fronte, come su altri, ci viene come al solito incontro l’Europa, con le sue preziose direttive. L’ultima in tema di sicurezza stradale è la numero 96 del 2008 dal titolo “Direttiva 2008/96/Ce del Parlamento Europeo e del Consiglio del 19 novembre 2008 sulla gestione della sicurezza delle infrastrutture stradali”. Qui finalmente si parla delle cose giuste proprio nell’ambito delle responsabilità del gestore delle strade. La data ultima per l’attuazione in Italia è il diciannove dicembre 2010. Valutazione di sicurezza per le strade, controlli, classificazione di della rete viaria, ispezione, pubblicità, formazione dei controllori, scambio della migliore prassi, sono elementi che fanno di questa direttiva il fulcro di un’effettiva svolta su questo fronte.
Guidate con prudenza.


[1] Nella distribuzione oraria delle morti per incidenti stradali si sono ripartite le 41 morti avvenute in ora imprecisata, sulle restanti ore del giorno, in modo proporzionale al valore preesistente.
[2] Percentuale delle morti per incidente stradale, dovuta alle cause evidenziate nel testo.