martedì 31 marzo 2009

i Maniaci della libera informazione

Le agenzia di stampa, la radio, la televisione ed i quotidiani on line hanno dato questa sera una curiosa notizia. Ecco quanto riportato dal Corriere.it: "Il direttore dell'emittente televisiva Telejato di Partinico (Palermo), Pino Maniaci, è stato rinviato a giudizio per esercizio abusivo della professione di giornalista. La citazione diretta è stata disposta dal pubblico ministero di Palermo Paoletta Caltabellotta". Maniaci, che non ha mai preso il tesserino da giornalista pubblicista, è accusato di condurre quotidianamente il Tg di Telejato senza la speciale abilitazione di Stato.
«L’esercizio abusivo della professione non è svolto da Maniaci ma da chi, tesserino o non tesserino omette, fa finta di non vedere, nasconde le notizie o magari trova perfino il modo di pubblicare le lettere dei mafiosi condannati e sottoposti al 41bis. Non entriamo neanche nel merito del provvedimento qualunque sia la motivazione addotta. L’unica certezza è che sia stato applicato alla persona sbagliata nei tempi sbagliati e con le modalità sbagliate. In ogni caso, per quel poco che vale, e per quanto ci riguarda, noi consegneremo nella giornata di oggi la tessera di Art.21 a lui e alla sua redazione» è il commento del portavoce di Articolo21 Giuseppe Giulietti.

Ho voluto riportare la citazione di Articolo21 perchè questa è un'associazione nata per la difesa della libera informazione. L'articolo citato è il numero 21 della Costituzione Italiana. Senza giri di parole lo riporto integralmente, in modo che tutti possano leggerlo:

Art. 21.
Tutti hanno diritto di manifestare liberamente il proprio pensiero con la parola, lo scritto e ogni altro mezzo di diffusione.
La stampa non può essere soggetta ad autorizzazioni o censure.
Si può procedere a sequestro soltanto per atto motivato dell'autorità giudiziaria nel caso di delitti, per i quali la legge sulla stampa espressamente lo autorizzi, o nel caso di violazione delle norme che la legge stessa prescriva per l'indicazione dei responsabili.
In tali casi, quando vi sia assoluta urgenza e non sia possibile il tempestivo intervento dell'autorità giudiziaria, il sequestro della stampa periodica può essere eseguito da ufficiali di polizia giudiziaria, che devono immediatamente, e non mai oltre ventiquattro ore, fare denunzia all'autorità giudiziaria. Se questa non lo convalida nelle ventiquattro ore successive, il sequestro s'intende revocato e privo di ogni effetto.
La legge può stabilire, con norme di carattere generale, che siano resi noti i mezzi di finanziamento della stampa periodica.
Sono vietate le pubblicazioni a stampa, gli spettacoli e tutte le altre manifestazioni contrarie al buon costume. La legge stabilisce provvedimenti adeguati a prevenire e a reprimere le violazioni.

A fronte di tutto ciò, oggi per poter esercitare la professione di giornalista, bisogna essere necessariamente iscritti all'Ordine dei giornalisti. Questo è definito dalla Legge n° 69 del 1963 (ordinamento della professione di giornalista) [LINK]. Appare chiaro come ci sia un evidente contrasto tra i diritti sanciti dalla Carta Costituzionale e le restrizioni definite dalla Legge. Forse Pino Maniaci si difenderà come ha già fatto con successo nel 2008, definendosi direttore di un Tg espressione di un movimento culturale al di fuori di una vera attività professionale. Forse con un tocco di fantasia mediterranea dovrà dire di non definirsi "giornalista" ma "informatore" o "commentatore libero". Sta di fatto che scrivere di fatti, riportare abitualmente sui mezzi di informazione opinioni, analisi, ricerche, non è permesso davvero a tutti in piena libertà. Se vediamo tuttavia la quantità di pubblicazioni pornografiche che dilagano nelle edicole o su internet, potremmo addirittura pensare che in Italia i diritti dell'Articolo 21 della Costituzione possono essere interpretati in modo straordinariamente liberale. Evidentemente con il porno si può fare, con l'antimafia, il dissenso, la critica al potere corrotto, il libero pensiero, no!
Mi sembra quindi lodevole l'iniziativa del deputato del PDL, Benedetto Della Vedova, riportata da Libero-news.it. Il deputato, secondo la testata web, avrebbe presentato un'interrogazione al Ministro della Giustizia Alfano, dicendo tra le altre cose: "Non so fino a che punto sia coerente con le disposizioni normative un'imputazione di esercizio abusivo della professione per una attivita' di militanza politica e civile, quale e' quella coraggiosamente condotta dal direttore di Telejato - Sono pero' sicuro che esiste un evidente contrasto fra le norme che disciplinano l'attivita' giornalistica e il diritto costituzionalmente garantito alla libera manifestazione del pensiero, ..., come recita l'articolo 21 della Costituzione, laddove questa sia subordinata ad un'abilitazione pubblica e all'iscrizione ad un ordine professionale. Il modo migliore per tutelare il diritto alla libera espressione di Pino Maniaci, come quello di qualunque altro cittadino, e' cambiare la normativa grottesca, burocratica e corporativa che disciplina l'esercizio dell'attivita' giornalistica".
Vista la qualità dell'informazione che ci circonda, penso che l'Ordine dei giornalisti non sia una garanzia di bontà e libertà dell'informazione. Penso anche, come sembra farlo Della Vedova, che limiti inutilmente i diritti sanciti dalla Costituzione. Sono veramente così liberi ed obiettivi tutti i giornalisti ed i pubblicisti? Lo sono più di un normale cittadino che abbia la capacità e la voglia di esprimersi in pubblico? La realtà è che l'unica cosa che effettivamente l'Ordine sembra garantire è un buon livello di preparazione professionale. Cosa lodevolissima ma che potrebbe affermarsi altrettanto bene in un regime di maggiore libertà e concorrenza. Spesso si ha l'impressione che i giornalisti si barrichino dietro la difesa di questo anacronistico Ordine professionale, solo per difendere il loro sacrosanto diritto a non essere sfruttati. Che si mobilitino invece sul fronte della giusta retribuzione e del corretto rapporto di lavoro nell'informazione. Che almeno loro lavorino per abbattere le barriere delle Corporazioni.
Infine noto con piacere che la solidarietà al GIORNALISTA Pino Maniaci è espressa da molte testate web. Ne riporto alcune a testimonianza del sostegno che tutti sembrano voler dare al simpatico e coraggioso conduttore antimafia:
la Stampa.it - Siamo tutti Maniaci;

Da un non giornalista, cittadino che molto più modestamente e meno coraggiosamente di Pino Maniaci, lotta per migliorare questo paese, appoggio Pino Maniaci e gli faccio i migliori auguri. Speriamo che presto la Procura della Repubblica di Palermo riesca ad occuparsi di cose più degne ed urgenti.
EC

domenica 29 marzo 2009

Libero arbitrio o Testamento biologico

Se potessimo vedere su di un grafico il numero di volte in cui il  termine "libertà" è stato pronunciato nella storia, vedremmo una lunga linea retta vicino allo zero, seguita da una costante salita a partire dal diciottesimo secolo. Chiaramente è difficile distinguere tra l'uso e l'abuso del termine. Spesso questo è stato usato come paravento ideologico od in modo contrario al significato condiviso dai più. E' sempre positivo però il fatto che se ne parli. Citata ben ventidue volte nella "Dichiarazione Universale dei Diritti dell'Uomo" e tredici nella Costituzione Italiana, la parola libertà è musica per le orecchie di chi ha a cuore il progresso civile dell'umanità.
Oggi in Italia questa parola è fortemente alla ribalta. La parte più rilevante dell'attuale maggioranza la mette in bella mostra nel nome del nuovo partito. La parte più progressista dell'opposizione si appella ad essa, proprio per contrastare il progetto di legge della maggioranza sul testamento biologico. Da libero pensatore razionale e laico ho mille argomenti per discutere queste posizioni. Tuttavia voglio portare argomenti più vicini alla cultura a cui maldestramente ed opportunisticamente si ispirano alcuni leader della maggioranza. Userò parole, non selezionate ad arte, di un Papa, perchè ritengo che spesso sia proprio da quel fronte che vengono alcuni contributi presi a pretesto per politiche non del tutto aperte alla libertà dei cittadini. Faccio quindi riemerge dal passato le parole di un uomo illuminato, grande amico di Aldo Moro e pontefice di Roma, con il nome di Paolo VI. Estraggo per questo alcune frasi dall'udienza generale di mercoledì 5 febbraio 1969, che potete trovare sul sito www.vatican.va.

Si fa oggi, come tutti sanno, molto parlare di libertà. È questo un nome che risuona dovunque si discuta dell’uomo, della sua natura, della sua storia, della sua attività, del suo diritto, del suo sviluppo. L’uomo è un essere in crescita, in movimento, in divenire; la libertà gli è necessaria. Guardando più addentro nell’essere umano, si vede che l’uomo, nell’uso delle sue facoltà spirituali, mentre è determinato dalla tendenza al bene in generale, non è determinato da alcun bene particolare; è lui stesso che si autodetermina; e chiamiamo libertà il potere che la volontà dell’uomo ha di agire senza essere costretta, né internamente, né esteriormente. E si è visto che questo libero arbitrio è così proprio dell’uomo da costituire la sua nota specificante, da fondare il titolo primo della sua dignità personale, e da conferirgli l’impronta caratteristica della sua somiglianza con Dio. 
... omissis ... 
Libertà e autorità sono tanto spesso apparsi termini antitetici. Anche ai nostri giorni la soluzione di questa antitesi pone problemi gravi, sia nel campo pedagogico, che domestico, o sociale e politico; ed anche in quello ecclesiastico. 
... omissis ... 
Non potremo progredire nella vita cristiana, né in quella ecclesiale, se non avremo progredito nell’autentico e legittimo uso della libertà. (Paolo VI 1969)

La Chiesa è fatta di uomini che in passato si sono sbagliati molte volte e su temi spesso importanti. I perdoni chiesti da Papa Giovanni Paolo II, sono l'atto di un uomo giusto che riconosceva tutto questo e cercava di porre rimedio. Oggi mi rattrista vedere le truppe del centro destra, posizionate a difesa della linea dei Valori. Non sono triste per i Valori ma per chi dovrebbe ergersi a loro difensore. In tutti questi importanti principi ci si dimentica del tutto di un dono di Dio all'Uomo: il libero arbitrio. 
L'Uomo è libero di scegliere. E' libero "di" e deve essere libero "da". La legge sul testamento biologico, come voluta da parte della maggioranza, permette all'uomo di godere di questo dono di Dio? Od ancora una volta l'oscurantismo di chi si erge a faro di Verità anche in tema di leggi civili, produrrà qualche guasto per il quale dovremo accettare altre scuse in futuro? Che la Chiesa insegni liberamente, che lo Stato educhi e tuteli le persone anche in parte da loro stesse, va bene. Che però alla fine sia lasciata all'Uomo la sua preziosa libertà di scelta. Spero che il popolo delle Libertà non voglia iniziare proprio dalla "libertà" di fare a pezzi la libertà di chi non la pensa come lui. 

sabato 28 marzo 2009

PDL e PD, fusione calda e fusione fredda

"Il Pd ha dato vita a una fusione fredda. Il Pdl darà vita ad una fusione più calda, basata sulla condivisione di valori". Sono le parole di Gianfranco Fini che hanno anticipato il congresso di fondazione del nuovo Popolo della Libertà. Pare che il Partito Democratico stia già al primo posto negli slogan, se non nei pensieri, del nuovo soggetto politico. L'aggregazione delle due maggiori forze politiche del centro destra forse non sarebbe mai nata se ciò non fosse stato fatto prima dall'opposto schieramento. Nell'autunno 2008 il leader assoluto della Casa delle Libertà era ormai ai ferri corti con lo scalpitante Fini. Poi l'accelerazione della nascita del PD, la conseguente rovinosa caduta del governo Prodi, la rinascita dell'unione di interessi nel centro destra.
La nascita di un nuovo partito dovrebbe rappresentare un momento ben più alto dell'ordinario scontro politico. Probabilmente in assenza di proposte fortemente innovative, di programmi, di vero confronto per la scelta del leader, ci si può più facilmente compattare additando un avversario comune. Ecco quindi che si parla del polo antagonista in modo negativo, defininendolo prodotto della "fusione fredda". Dalla propria parte invece si realizzerebbe una cosiddetta "fusione calda", lasciando intendere che è cosa migliore. Sarebbe meglio parlare del proprio programma, cosa certamente più interessante per gli elettori del centro destra. Questi, sentendo ancora una volta i propri leader sparlare degli avversari, quando non intenti a darsi pacche sulle spalle per dire che si è tutti d'accordo, potrebbero sospettare l'assenza di un vero progetto politico.

Mi diverte comunque la similitudine usata dal Presidente della Camera. Come fisico non posso ignorare che la fusione calda, associata da Fini alla propria parte, è ben lungi dall'essere dominata dalla scienza. Funziona da decenni solamente nelle bombe nucleari. L'uso civile è atteso, nelle stime più ottimistiche, tra almeno trent'anni. Spero che l'uso civile del PDL giunga prima di allora. Per contro la fusione fredda non può essere certo utilizzata per armi di nessun tipo. Tuttavia essa sembra misteriosamente produrre meno energia di quella che consuma. Curiosa somiglianza con l'evidente contrasto degli enormi sforzi del centro sinistra a fronte dei piccoli risultati.

Berlusconi avrà colto la sottile ironia di una battuta che in fondo sembra far più male in casa sua che in quella avversa. "Dagli amici mi guardi Iddio, ché dai nemici mi guardo io" forse potrebbe riassumere, meglio di mille pacche sulle spalle, la reale portata dell'amicizia di Fini e Berlusconi.

domenica 22 marzo 2009

Tutta colpa dell’Euro?

Mauro, cameriere del Lazio, con lo stesso stipendio del 2001, oggi non riesce più ad arrivare a fine mese. Da la colpa all’Euro. Giovanni, funzionario di un comune della stessa regione, la pensa come lui. Se con quarantamila lire riempiva due buste della spesa nel 2001, oggi con ventuno euro ne riempie a mala pena una. Tuttavia quando si cerca di analizzare nel dettaglio la cosa, non è facile dimostrare che abbiano effettivamente ragione. Certamente sono in moti a pensarla come loro. A cercare di convincerci del contrario ci ha pensato la Commissione Europea. Nel 2005 ha pubblicato un grazioso opuscolo dal titolo “Ma è davvero l’Euro il responsabile dell’aumento dei prezzi?”. All’interno si leggeva che i rincari anomali riguardavano pochi prodotti, e l’aumento complessivo era in linea con l’inflazione media del 2%. L’effetto Euro quindi sarebbe dovuto ad un’errata percezione dei consumatori, sviati dal fatto che i maggiori aumenti avrebbero interessato i prodotti di uso più frequente, rendendo maggiormente visibile il fenomeno. Dalla commissione, guidata allora da Romano Prodi, neppure un accenno alla mancanza di controlli sui prezzi al consumo dei governi nazionali, tra cui quello italiano di Berlusconi, in carica dal 2001 al 2006. Mauro, Giovanni, io stesso, e molti milioni di altri italiani, saremmo quindi dei visionari. Vorrei capire se sia vero, avvalendomi di qualche dato concreto.

Maastricht, l’inflazione ed i prezzi
Innanzitutto bisogna sapere che il trattato dell’Unione Europea all’origine dell’Euro, prevede che i paesi coinvolti abbiano a che fare con un’inflazione sempre al di sotto del 2% annuo. L’inflazione non è altro che la percentuale con cui aumentano i prezzi al consumo. Anche un valore basso, protratto negli anni, porta ad aumenti significativi.Ad esempio in un regime di inflazione costante al 2%, un oggetto che fosse costato l’equivalente di 1€ nel 1995, nel 1997 si sarebbe potuto comprare 1,04€. Nel 2001 lo avremmo trovato a 1,13€ e nel 2005 a 1,22€, per arrivare al 2008 quando per averlo avremmo dovuto sborsare ben 1,29€. Quasi il 30% di aumento complessivo in soli tredici anni, in un regime di inflazione sostanzialmente bassa.

L’ISTAT nella ricerca “Indici e variazioni percentuali per tipologia di prodotti (1996-2009)” ha analizzato la variazione dei prezzi di alcune tipologie di prodotti della nostra spesa . Sono gli alimentari lavorati (pane, pasta, conserve, sughi, succhi, surgelati), quelli non lavorati (carne, pesce, frutta e verdura), i beni non durevoli (prodotti per la pulizia e la cura personale, medicinali), quelli semidurevoli (abbigliamento, calzature e libri) ed infine quelli durevoli (autovetture, arredamento, elettrodomestici). I beni durevoli sono i soli ad aver subito aumenti minori dell’inflazione tendenziale annua del 2%. A crescere in modo superiore a tale riferimento, soprattutto gli alimentari non lavorati, i beni semidurevoli e, nell’ultimo anno, gli alimentari lavorati. Mangiare e vestirsi, due attività che è prudente esercitare con gran frequenza, sono aumentate ben al di quanto ci si potesse aspettare. Dal 1995 fino a fine 2008 gli alimentari freschi sono aumentati del 35% in più rispetto all’inflazione. Ma la vera accelerazione si è avuta dopo il 2001. Infatti da quell’anno al 2008 la crescita totale del loro prezzo ha superato l’inflazione di ben il 48%. Facendo i conti, è come se gli alimentari non lavorati abbiano subito dal 2001 un’inflazione del 2,83% rispetto al semplice 2% tendenziale annuo voluto dall’Europa.
La spesa delle famiglie è fatta anche di servizi come i tributi locali, i trasporti, i pedaggi, i canoni, la telefonia, le poste. E’ fatta inoltre di prodotti energetici come l’energia elettrica, il gas, il riscaldamento, i carburanti ed i lubrificanti. Unendo in delle grafiche queste tipologie di prodotti con quelle viste prima, emerge un quadro più chiaro.

fai clic con il mouse sul grafico per vederlo bene

La linea tratteggiata indica l’inflazione media annua del 2%. Si vede chiaramente che tutti i prodotti, con la sola eccezione dei beni durevoli, sono aumentati più dell’inflazione tendenziale del 2%. Dal 2001 al 2008, i servizi sono aumentati con un ritmo del 2,55% all’anno. Nello stesso periodo gli energetici hanno dimostrato una crescita annua del 4,39%.

Un’altra indagine ISTAT, “I consumi delle famiglie Anno 2007”, mostra il peso delle diverse tipologie di prodotti nella spesa delle famiglie. Circa il 61% dei consumi ricadono tra le tipologie di prodotti che hanno avuto gli aumenti più alti. Il 19% è per i soli prodotti alimentari e le bevande. Il 39% degli acquisti ricade nell’ambito di quei beni durevoli che sono aumentati meno dell’inflazione attesa. Sulla base dei dati sui prezzi delle tipologie di prodotto e sulla composizione della spesa si può calcolare che l’inflazione media tra il 2001 ed il 2008,si è attestata attorno al 2,85%. Per chi volesse approfondire i risultati delle rilevazioni sulla dinamica dei prezzi ecco un link interessante:

http://www.istat.it/prezzi/precon/aproposito/archivio.html

In pratica oggi dobbiamo spendere 130 euro per fare la stessa spesa che nel 2001 facevamo con 100. Rispetto ai 100 euro spesi nel 2001 in servizi come tasse locali, trasporti, telefonia, poste, pedaggi, biglietti, oggi ne servono 122. Queste due sole componenti costituiscono circa il 50% della spesa delle famiglie.

E’ sparita mezza busta della spesa…
Riassumendo, dai dati ISTAT possiamo affermare che se nel 2001 con 40.000 lire riempivamo due buste di spesa, oggi con gli equivalenti 20,66 euro, dovremmo riempirne solo una e mezza. Rispetto alla percezione di Mauro e Giovanni, ispiratori di quest’analisi, c’è mezza busta di differenza. Sembra quindi che i dati ISTAT mostrino una situazione meno nera di quanto pensano molti italiani. Chi si sbaglia? “Vox populi, vox dei”, sembra puntare l’indice verso l’Istituto di statistica.
La percezione della gente è volubile e risente spesso di situazioni contingenti. Forse c’è del vero in un’idea persiste immutabile negli anni, come quella di un aumento dei prezzi troppo consistente. Dall’altro lato i metodi di rilevazione dell’ISTAT sono in concreto gli stessi da sempre. Varia solo la composizione del cosiddetto paniere, ossia l’elenco dei prodotti sui si fa il controllo dei prezzi, non senza polemiche. Un errore nel metodo, produrrebbe uno spostamento sistematico dei risultati in una specifica direzione. Vuol dire che in tal caso si avrebbero risultati che si discostano dalla realtà sempre in una direzione, in alto od in basso. Un vizio nell’applicazione della metodologia di rilevazione ISTAT, potrebbe mostrare aumenti dei prezzi sempre un poco minori del vero.

Dove sta l’intoppo
LA RILEVAZIONE ISTAT - Il paniere ISTAT è stato spesso accusato di non essere adeguato ai comportamenti d’acquisto degli italiani. A dire il vero si tratta di una raccolta di prodotti e servizi molto completa. E’ aggiornato tutti gli anni in modo da rappresentare la struttura dei consumi della popolazione. Ad esempio, nel 2003 è stato introdotto il canone abbonamento pay tv, il lettore DVD, il tavolo porta PC, nel 2004 la macchina fotografica digitale, nel 2006 è stato eliminato il tessuto per abiti e sono stati introdotti i jeans per bambini e gli apparecchi per i denti, nel 2008 sono comparsi la console per giochi ed il navigatore satellitare. La fonte principale è l’indagine ISTAT sui consumi che coinvolge ogni anno circa 28mila famiglie italiane. La rilevazione avviene oggi in 84 comuni (20 capoluoghi di regione e 64 di provincia). I prezzi sono rilevati in circa 41mila punti vendita (piccoli esercizi commerciali, grande distribuzione, mercati rionali), ai quali si aggiungono circa 8mila abitazioni per la parte che riguarda gli affitti. Nel complesso, sono circa 413mila le quotazioni di prezzo rilevate ogni mese. I dati sono raccolti attraverso la rilevazione territoriale effettuata dai comuni (80,3%) e quella centralizzata effettuata dall'ISTAT (19,7%).

LA RILEVAZIONE FATTA DAI COMUNI - Qui forse un primo problema è che i dati sono raccolti solo nel 79% dei capoluoghi di provincia. I comuni oggetto della rilevazione sono i maggiori centri abitati e coprono meno del 28% della popolazione. La dinamica dei prezzi nei restanti circa 8.000 comuni, in cui vive oltre il 72% degli italiani, non è osservata e potrebbe essere profondamente diversa.
Delle 533 rilevazioni sui prezzi del 2008, ben 481 sono fatte dai comuni e solo 52 direttamente dall’ISTAT in modo centralizzato. I comuni maggiori sono dotati d’uffici statistici. Tuttavia mai come in questi anni essi hanno presentato un’insieme di problemi sia di tipo economico che di selezione del personale. Da un lato i bilanci dei municipi sono sempre più stretti, al limite del blocco delle attività, dall’altro i vincoli alle nuove assunzioni e la possibilità di affidare incarichi ad personam, può influire sulla qualità dei servizi. Con le ristrettezze dei bilanci dei comuni italiani, si può anche pensare che l’ufficio statistica non sia certo quello su cui investire di più. A garantire sulla bontà del lavoro degli uffici statistici comunali una Commissione Comunale di Controllo, presieduta dal sindaco o da un suo delegato. Questi ha il compito di verificare i prezzi rilevati, le modalità d’elaborazione e l’adeguatezza del numero dei rilevatori impiegati. L'ISTAT, da parte sua, effettua verifiche e controlli di coerenza sulle informazioni che riceve.
Il dubbio è che i comuni non riescano sempre a svolgere questo ruolo in modo adeguato. Chi volesse può chiedere al comune capoluogo di provincia, copia delle verifiche della Commissione di controllo.

LE CONTROMISURE DELLA GRANDE DISTRIBUZIONE – C’è da chiedersi come escludere che la grande distribuzione ed i produttori, avendo capito molto bene la composizione del paniere, possano aver differenziato l’offerta in modo vantaggioso per loro. Ad esempio avrebbero potuto aumentare poco i prezzi dei prodotti controllati, e tanto quelli dei prodotti nuovi e più appetibili. Accanto a un pacco di CHEBUONO, il cui prezzo aumentava piano, avrebbero potuto offrire SuperCHEBUONO, con vitamine o fermenti lattici, più caro e con un prezzo sempre in salita. Se il paniere controlla i rigatoni, possono venir fuori nuovi formati di pasta, eccetera.
Dato che i grandi supermercati controllano la nostra spesa al centesimo, attraverso le cosiddette carte fedeltà, non potrebbe l’ISTAT avvalersi direttamente dei loro dati di dettaglio? Nel caso almeno dei generi di largo consumo è senza dubbio possibile passare da analisi statistiche a vere misurazioni sul campo.

LE DIVERSE TIPOLOGIE FAMILIARI – Nella sezione domande e risposte sugli indici dei prezzi al consumo del sito dell’ISTAT, compare la domanda: “Esiste un modo per calcolare quanto le variazioni di prezzo incidono sui bilanci di spesa di diverse tipologie familiari?”. La cosa è ragionevole viste ad esempio le diverse situazioni di famiglie che debbono pagare un affitto od un mutuo, rispetto a chi ha la casa. L’Istituto stesso spiega come il problema sia sentito a livello europeo ma le soluzioni siano non facili. Senza voler spaccare il capello in quattro, tuttavia credo che si possa chiedere uno sforzo per dare una chiave di lettura, almeno in poche tipologie di massima. Il dichiarare una spesa media abitativa per famiglia senza distinzioni, aiuta poco a capire i problemi di chi arriva con difficoltà a fine mese.

MISTER PREZZI – Dopo le dimissioni di febbraio 2009 del primo Garante della sorveglianza dei prezzi, Antonio Lirosi, nominato da Prodi, il nuovo responsabile è Luigi Mastrobuono. Il suo curriculum pubblicato sul sito di Confindustria, di cui è stato Vice Direttore Generale è questo:
Nato a Roma nel 1954 - Laurea in Giurisprudenza
Ha ricoperto gli incarichi di:
- Amministratore Delegato Bologna Fiere SpA
- Presidente di IPI Istituto per la Promozione Industriale
- Segretario generale di Unioncamere
- Sottosegretario all'Industria con competenza per commercio, artigianato, piccole imprese e fiere
- Segretario generale all'Ente vaticano per il Giubileo 2000
- Segretario generale Confcommercio
- Amministratore Delegato Fiera di Roma S.r.l.
Ha fatto parte dei Consigli di Amministrazione di varie Società, soprattutto di servizi rivolti alle imprese ed ai Sistemi Associativi

A lui il compito di dirigere il nuovo organismo voluto dalla Finanziaria del 2008, al quale il decreto “Brunetta” (D.L. 112/1998) ha tolto l’obbligo di verificare le segnalazioni delle associazioni dei consumatori riconosciute. Il garante è tenuto solamente ad analizzare le segnalazioni ritenute meritevoli d’approfondimento. I risultati delle indagini finalizzate che svolge sono messi a disposizione dell'Autorità garante della concorrenza e del mercato, solo su richiesta.

Proposta per il futuro

VISIONE MULTIPLA – La statistica è una scienza. Tuttavia il pensiero corre alle cantonate prese dagli exit-poll alle elezioni degli ultimi anni. Con un facile gioco di parole può venire anche in mente la grande verità fissata dal genio poetico di Carlo Alberto Palustri, noto con il nome di Trilussa, nei versi su statistica e polli: « … da li conti che se fanno - seconno le statistiche d'adesso - risurta che te tocca un pollo all'anno: e, se nun entra nelle spese tue, t'entra ne la statistica lo stesso perch'è c'è un antro che ne magna due. ». Serve quindi avere un diverso punto di vista per confermare o confutare le statistiche ISTAT. Una prima linea di azione potrebbe essere l’obbligo di chi gestisce le carte fedeltà a consegnare entro un ragionevole periodo, i dati sugli acquisti all’ISTAT. L’Istituto in conformità a questi dati di effettiva misurazione, dovrebbe elaborare degli indicatori per meglio calibrare i propri metodi statistici.

MAGGIORI CONTROLLI – E’ palesemente inutile mantenere le Commissioni comunali di controllo se queste sono presiedute dal sindaco o suo delegato. Meglio invece abolire questi organismi, separando il controllato dal controllore. Anziché quindi limitare i poteri di verifica e di controllo del Garante della sorveglianza dei prezzi, si dovrebbe assegnargli il compito di fare indagini periodiche sulla qualità dell’azione degli uffici statistici comunali. Tale possibilità dovrebbe poter essere estesa anche alle associazioni di categoria dei consumatori. In tal modo potranno emergere eventuali inadeguatezze sia nel metodo che nelle risorse comunali preposte a registrare i prezzi.

MAGGIORE COORDINAMENTO – Il Garante per la concorrenza, quello per la sorveglianza dei prezzi, l’ISTAT, le associazioni dei consumatori, dovrebbero avere un migliore coordinamento. Una quota rilevante dell’attività di ciascun soggetto consiste nel riproporre in altra salsa il lavoro fatto dagli altri. Si dovrebbero definire ruoli distinti in modo da rendere maggiormente incisiva l’azione di ciascun soggetto, una volta definiti gli obiettivi. Nel caso dei prezzi l’obiettivo non deve essere solo quello di misura corretta dell’inflazione, importante per i parametri europei. A fianco ci deve essere anche la volontà di limitare gli abusi volti ad aumentare la spesa delle famiglie italiane per l’utilità di pochi speculatori.

RICERCHE E STUDI – Devono essere stimolati studi e ricerche volti a proporre metodologie alternative di misurazione dell’andamento dei prezzi, non basati sempre e in ogni caso sul lavoro ISTAT. Un’accorta politica di defiscalizzazione dei contributi per ricerche svolte in ambiente universitario o presso Istituti di ricerca, potrebbe attrarre fondi di aziende interessate ad affinare le politiche di marketing. Il vantaggio, in termini di chiarezza e di conoscenza sarebbe però di tutti.


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mercoledì 11 marzo 2009

La Carlsberg di Ceccano e gli operai che “non servono” più

In questa crisi economica che tiene in ostaggio l’economia e la società italiana, ci sono aspetti di difficile comprensione. Chi non vede a rischio il suo posto di lavoro, o non deve fare i conti con le maggiori difficoltà finanziarie del mandare avanti un’impresa, lo sa. I lavoratori dei settori che vanno bene, i dipendenti pubblici, i pensionati non al minimo, possono solamente farsi un’opinione della crisi dai mezzi di informazione. Da un lato il Presidente del Consiglio parla di una situazione più pesante che tragica ed incita all’ottimismo. Dall’altro il suo ministro dell’economia, uno dei pochi che aveva previsto tempi e modi di questa crisi, dice che il Governo non lascerà indietro nessuno. Dall'opposizione e dai sindacati mancano proposte che sappiano convincere gli economisti.
La crisi la si vede bene quando ci si ferma davanti ai cancelli di una fabbrica che sta per chiudere e si decide di parlare con gli operai. Lì c’è la certezza di una cassa integrazione lunga molti mesi e di una fumosa mobilità. Ad unire operai ed impiegati, la speranza che la loro situazione di risolva nell’unico modo in cui questi cittadini sono portati a sperare: riprendere la produzione come prima fermamente intenzionati a recuperare la dignità di lavoratori e non di assistiti.

La storia raccontata degli Operai
Mi sono fermato a parlare con i settanta dipendenti dello stabilimento Carlsberg di Ceccano, vicino a Frosinone, ed ho ascoltato quanto avevano da dire. Ho studiato poi la loro situazione, cercando informazioni su internet. Ecco quanto emerso.
A marzo 2006 la Carlsberg annunciava ai lavoratori riuniti in assemblea di voler abbandonare lo stabilimento. Si trattava di vendere e non semplicemente dismettere il sito produttivo. Il nuovo acquirente avrebbe avuto sempre bisogno di forza lavoro. La decisione di ritirarsi non dipendeva da un’inefficienza della fabbrica. Lo stabilimento ed i suoi operai avevano più volte, negli ultimi anni, ben figurato nelle classifiche di qualità e produttività del gruppo Carlsberg in Europa. L’utilità era quella di accorpare la produzione nel principale sito produttivo italiano, a Varese.
Da li si sono susseguite una serie di infruttuose trattative con potenziali acquirenti. Si sarebbe sentito parlare dell’interesse di marchi di birra concorrenti, poi di imprenditori di zone vicine. A far nutrire più speranze, i contatti con il gruppo Tarricone di Potenza, produttore della “Drive Beer” e della Birra Morena. Nel febbraio 2008 tuttavia la Carlsberg informava i dipendenti che, non essendo riuscita a vendere lo stabilimento, doveva pur fermarlo e mettere in cassa integrazione gli operai. Al lavoro rimanevano i custodi, qualche amministrativo e poche persone dedicate alla logistica. Il sito continuava la sua attività di hub distributivo della birra prodotta al nord. Subito dopo anche la possibilità che un gruppo di imprenditori del frusinate, potessero interessarsi all’affare. Di affare si potrebbe ben parlare, dato che gli impianti ed il sito sarebbero in vendita per circa sei milioni e mezzo di Euro e che la capacità produttiva si attesta intorno ai cinquecentomila ettolitri l’anno di ottima birra.
Alla fine, nel 2009 il dubbio che l’intenzione di vendere fosse un pretesto per calmierare le proteste, ha fatto decidere per un’azione di protesta più marcata. Nel silenzio di questi anni, il disinteresse fattivo delle istituzioni e di chi doveva rappresentarli, ha giocato contro i dipendenti. Oggi sono loro stessi in prima persona a gridare per farsi vedere. Il picchetto che da giorni staziona ai cancelli della fabbrica è composto da uomini miti ma determinati. Uniti dalla speranza che facendo rumore la cosa si sblocchi.
Mi ha colpito che gli uomini al picchetto non avessero dati, materiale informativo o notizie chiare di alcuna trattativa di vendita dello stabilimento. La loro fiducia li ha portati a credere a tutto. Ma, visti i risultati, anche senza dover pensare alla malafede, non mi sentirei in imbarazzo a parlare di una palese inefficacia di chi fino ad ora ha curato i loro interessi.
Ancora un volta i cittadini del terzo millennio devono cimentarsi da soli per far rispettare i loro diritti. Nessuna istituzione civile o privata è riuscita a far valere anche sono gli articoli uno e tre della nostra tanto inapplicata Costituzione.

Art. 1.
L'Italia è una Repubblica democratica, fondata sul lavoro.
Art. 3.
È compito della Repubblica rimuovere gli ostacoli di ordine economico e sociale, che, limitando di fatto la libertà e l'eguaglianza dei cittadini, impediscono il pieno sviluppo della persona umana e l'effettiva partecipazione di tutti i lavoratori all'organizzazione politica, economica e sociale del Paese

La Politica
Nel 2008 l’assessora al Lavoro della Regione Lazio, Alessandra Tibaldi, ha portato la questione all’attenzione del tavolo interassessorile regionale per le emergenze occupazionali. Questo è uno strumento creato in virtù della Legge Regionale n°38 del 1998, e da gennaio 2009 si riunisce settimanalmente. Si occupa di trovare soluzioni di breve e lungo periodo per i problemi del lavoro. La veloce applicazione della cassa integrazione ne sarebbe un esempio. Tuttavia nel portale della Regione Lazio ed in quello dell’assessorato, a parte le dichiarazioni dei politici, non si trova nulla. Sul caso di Ceccano in particolare si trovano solo due espressioni di fiducia e di solidarietà dell’assessora, una del 28/06/2008 ed una del 10/02/2009. Entrambe immancabilmente riprese dai quotidiani, a riprova dell’efficienza almeno dell’ufficio stampa. Che peccato che non compaiano i verbali o magari anche solo gli ordini del giorno degli incontri del tavolo.
Anche in altre occasioni in cui i politici fanno capolino nella vicenda, si sente parlare di grande fiducia. Ad esempio “Il Tempo” titola “Carlsberg, l’ora della speranza” quando il candidato PDL alla provincia di Frosinone, Antonella Iannarilli, dichiara di voler interessare il presidente degli industriali della Regione Maurizio Stirpe, presidente del Frosinone Calcio.
Insomma tante parole e promesse ma pochi elementi concreti che dimostrino un vero lavoro per risolvere la questione. Non si vede traccia di un impegno, ossia di una serie di azioni annunciate, per le quali siano chiare a tutti le date, gli obiettivi posti e siano resi noti i risultati. Si vedono invece uffici stampa molto efficienti nel dare risonanza alle visite dei politici sul posto. Spero davvero che si tratti solo di cattiva informazione. Voglio pensare che dietro il silenzio di facciata ci sia un febbrile lavoro delle istituzioni. Per rispetto agli operai che patiscono il freddo ai cancelli della loro fabbrica, vorrei però che ci fosse più trasparenza.

Le strategie in campo
Parlando con alcuni operai del picchetto emerge che la loro unica idea è ancora quella di convincere la Carlsberg a vendere lo stabilimento. Pensano a riprendere il lavoro, appena finito il periodo della crisi. Sindacati e politici vanno dietro a quest’idea. Ma dove sta la prova che la Carlsberg vuole davvero vendere? Il dubbio che dietro gli insuccessi delle trattative fatte fino ad oggi, possa nascondersi la difficoltà a cedere a concorrenti, nasce facilmente. Inoltre è chiaro che non basta fare un ottimo prodotto per poterlo vendere. Serve una rete di vendita già sviluppata ed una grande capacità distributiva. La Carlsberg, quarto gruppo di Birra nel mondo, ritiene che mantenere l’area di Ceccano sia meno conveniente che accorpare le sue attività in Italia a Varese. Nessuno ha dimostrato che potrebbe essere vantaggioso per altri, fare diversamente.
Forse la cosa sarebbe possibile se il sostegno della Regione e degli enti locali interessati fosse più concreto. Si potrebbe parlare di un sostegno al credito, od alle perdite iniziali, di una nuova iniziativa imprenditoriale che volesse riattivare la fabbrica. Se il Governo aiuta le banche, possono la Regione, la Provincia o lo stesso comune di Ceccano, aiutare le attività locali in crisi?
Nel frattempo gli operai restano ad aspettare, fiduciosi e sempre più infuriati. Nessuno parla con loro di soluzioni alternative. Nessuno si attiva per proporre azioni di formazione per potersi eventualmente ricollocare in altri settori. La politica e le istituzioni si occupano “paternalisticamente” di loro. Si fanno valere le conoscenze e l’influenza, ma si evitano analisi realistiche e forse non si dicono le cose come stanno. Se la fabbrica alla fine chiudesse davvero, bisogna pensare al futuro dei suoi dipendenti, rafforzandone fin da ora la possibilità di un reinserimento lavorativo.

La triste realtà
La Carlsberg è un gruppo mondiale, uno dei maggiori, per la birra, in Europa. Efficienza e ricerca dell’utile a tutti i costi, sono il suo credo. Nel 2008 ha realizzato un utile di 430milioni di Euro, in crescita di ben 81milioni di Euro rispetto al 2007. Tanto per essere chiari, già a pagina sei dell’Annual Report 2008 del gruppo, il CEO Jorgen Buhl Rasmussen dice che “In Italy, production has been concentrated at the Varese brewery north of Milan, and production has ceased at Ceccano.” (“In Italia, la produzione è stata concentrata alla birreria di Varese a nord di Milano, ed è stata cessata a Ceccano”). Quella in questione è solo una delle molte chiusure e riorganizzazioni logistiche operate in Europa, al fine di raggiungere una maggiore competitività ed efficienza. La cosa è quindi fatta, senza ritorno. Forse la nomina a fine 2008 di un italiano, Alberto Frausin, a CEO della Carlsberg Italia dopo il polacco Boguslaw Bartczak, era anche funzionale ad affrontare meglio una vertenza sindacale nel Bel Paese. A dire il vero non sembra proprio che la Carsberg sembri preoccupata delle proteste che salgono da Ceccano.
Il dodici marzo 2009 alle 14:30 è stata fissata addirittura l’assemblea degli azionisti a Frederiksberg, in Danimarca. Al punto terzo dell’ordine del giorno campeggia la distribuzione degli utili e dei dividendi.
In pratica la dismissione dello stabilimento di Ceccano, insieme ad altre, non servirebbe ad evitare perdite, ma a mantenere in crescita gli utili. Per la Carlsberg è più importante non scontentare gli azionisti, che togliere la speranza a settanta famiglie. Sembra proprio difficile vedere la chiusura in funzione semplicemente della crisi economica. E’ più facile leggervi una fredda strategia volta forse ad approfittare di questa, per massimizzare gli utili.

Considerazioni finali
Sono queste le imprese? Aziende slegate da qualsiasi dovere? I diritti ed i doveri sono previsti solo per le persone. Le aziende possono fare quello che vogliono. A legarle, quando sia il caso, vaghi codici etici o fumose carte dei valori, come quella di Confindustria. Ma è giusto che si licenzino operai quando ci sono utili così alti? Il Governo italiano non dovrebbe dire qualche cosa a questi signori del Nord che fanno e disfano come vogliono, a casa nostra?
Nessuno ha consigliato gli operai, di comprare le azioni della Carlsberg ed andare all’assemblea degli azionisti a parlare del loro problema. Come azionisti potevano magari proporre di cambiare lo slogan della casa noto in tutto il modo: “Carlsberg, Probably the best beer in the world”, in qualche cosa di più adeguato alla loro situazione.
La soluzione, a questo punto, potrebbe stare nell'estrema semplicità del ragionamento dei lavoratori di Ceccano. Ci sono elementi di alto interesse pubblico da porre con urgenza all’attenzione delle massime cariche civili e morali italiane ed europee. Ad un’impresa che fa alti utili non deve essere permesso di giocare sulla pelle della gente, in un momento di crisi globale. Non se ha costruito la sua ricchezza grazie alla possibilità di operare in un ambito di diritto che ne ha garantito la crescita.
LEXCIVILIS, ossia per il momento io solo, Edoardo Capulli, contatterò tutti i soggetti che dovrebbero rappresentare i diritti dei cittadini. Lo devo fare per gli amici di Ceccano e per tutti i loro colleghi di sventura. Se devono valere i diritti degli azionisti della Carlsberg e di tante altre aziende, cosa dire di quelli degli azionisti dello Stato Italiano e dell’Europa, ossia dei cittadini?
Un’ultima considerazione, per chi legge il blog. Per un operaio che normalmente guadagna poco, ed essendo in cassa integrazione, si avvia alla ricerca di un nuovo lavoro, accedere ad Internet è molto difficile. La principale fonte odierna di informazione e di partecipazione democratica, è di fatto negata a questi cittadini. Che dire di obbligare i gestori della rete ad assicurare l’ADSL gratuita per almeno tre ore serali al giorno a tutti? Sarebbe tanto grave se i signori delle nostre comunicazioni dovessero limare un poco i loro dividendi? Provate ad utilizzare Internet, Facebook, Youtube ed altri trastulli del genere anche per proporre ed ottenere cose utili come questa.
Coraggio concittadini di Ceccano!



audiopost LEXCIVILIS

domenica 8 marzo 2009

Lettera degli operai della Carlsberg di Ceccano all'assessore regionale

Ceccano 8 marzo 2009

Dott.ssa Tibaldi,

Con la presente, le maestranze della Carlsberg Italia di Ceccano (Fr) vogliono ringraziarla per l’impegno fin qui profuso alla nostra causa di disagio che proviamo non solo per il rischio (sempre più concreto) della perdita del lavoro, ma per la dignità di cui ci sentiamo defraudati come uomini, madri e padri.

Le istituzioni sembrano aver compreso che questa situazione della Carlsberg di Ceccano ha poco a che fare con una crisi di così grande proporzione, bensì trattasi di una sensibile mancanza di lungimiranza del gruppo Carlsberg. Infatti il nostro sito altamente qualificato ha contribuito alla forte immagine “Carlsberg”, producendo un prodotto riconosciuto a livello europeo dalla Carlsberg Italia stessa. Negli ultimi cinque anni infatti, le accise sulla birra sono aumentate di circa il 60%, causando ai produttori italiani una riduzione dei propri margini di guadagno e consentendo così l’ingresso di prodotti stranieri a prezzi altamente concorrenziali. Le chiediamo accoratamente di farci da portavoce affinché le richieste fatte ai vari esponenti politici, ci conducano ad un tavolo ministeriale, che affronti non solo il problema degli ammortizzatori sociali più efficaci e straordinari come questa crisi richiede, ma di trovare una soluzione industriale che ci consenta di recuperare la nostra dignità. Ciò potrebbe favorire un eventuale vendita concedendo a chi ne fosse interessato di vedersi sgravare di alcuni oneri fiscali, inserendo Ceccano nella “zona franca” essendo Ceccano stessa polo industriale di Frosinone. Tale richiesta vorremmo la rammendasse al presidente Marrazzo al quale l’abbiamo già presentata, in occasione della sua venuta a Ceccano nei giorni scorsi. Certi del suo personale interessamento le rinnoviamo la nostra stima e gratitudine anche per essere qui oggi.

I dipendenti Carlsberg di Ceccano

8 Marzo, una festa di Giustizia

Le donne ancora oggi faticano più degli uomini a trovare lavoro. Laddove ci riescono, guadagnano mediamente meno dei loro colleghi maschi e la loro carriera è più corta. Nel mondo politico la loro rappresentatività è numericamente troppo esigua. Nei periodi di crisi, inoltre, le donne che lavorano sono anche velatamente accusate di togliere il lavoro agli uomini. Si sentono consigliare dai loro politici di fare un buon matrimonio. Questo in Italia. Altrove in Europa ed in America le cose vanno meglio, anche sotto l'aspetto del rispetto della pari dignità e dei pari diritti. Fuori dall'occidente, la situazione è spesso poco piacevole per loro. Libertà e diritti sono conquiste ancora da raggiungere in molte parti del mondo.
Non è solo una questione di Genere ma di Giustizia, che colpisce chiunque crede nella Civiltà. Io, maschio, mi senso ferito nel vedere che nel 2008 non esiste una vera parità, e che la spinta morale a raggiungerla sembra indebolita. Stiamo lentamente rinunciando a questioni di principio e di equità. Stiamo abdicando al nostro senso civile per evitare tutte le battaglie sociali e chiuderci nei nostri problemi particolari.
Oggi, 8 marzo, voglio rendere omaggio alle più ferite tra le donne che vivono in Italia: le giovani schiave del sesso, trastullo per una moltitudine di pervertiti, che altre volte ho chiamato "puttanieri". Nel giorno della festa che ricorda la violenta carica della polizia di New York contro le operaie di una fabbrica, l'otto marzo 1857, è uscito un pensiero postumo di un Uomo giusto. Un amico, Don Giuseppe, che per tutta la sua lunga vita ha avuto la forza di predicare bene e vivere ancora meglio, è morto. Da decenni scriveva una riflessione domenicale nel suo foglio parrocchiale. Gli ultimi scritti li aveva preparati prima di morire. Dobbiamo imparare tutti ad avere veramente fame e sete di giustizia. La fonte di tale ispirazione per Don Giuseppe era Gesù. Per tanti altri può essere diversa. Ciascuno di noi però, deve assicurarsi di averla, una sua fonte.

"Parlare di giustizia da parte di Gesù è cosa molto significativa e parlarne con i termini che lui ha usato (fame e sete) ci fa veramente pensare. Intanto cominciano col riflettere sul significato di giustizia: è la dote che fa dare a ciascuno ciò che gli appartiene.
Come [Gesù] mai parla di fame e sete? Certamente perché la fame e la sete sono segni della nostra vitalità. Se uno non mangia e non beve, in brevissimo tempo cessa di vivere. la frase di Gesù "fame e sete della giustizia" ci fa capire benissimo il valore di quelle virtù, mancando le quali (come chi ha fame di pane e sete d'acqua, se ne viene privato è condannato a morire) non è possibile vivere la nostra vita spirituale.
Oggi si parla moltissimo di giustizia dai più diversi pulpiti, ma non so poi quanti la pratichino. Ci sono tante persone che parrebbero buone, giuste e pulite; invece prendono operai a nero, sottopagano chi lavora, abusano di certe circostanze per soddisfare le loro voglie malsane. È giustizia questa? Succede pure che qualcuno, proprio perché si sbaglia, froda lo stato nel pagare i tributi: è ancora giustizia questa? Non vorrei dirlo, perché è una vergogna, ma capita e non raramente, che delle persone che godono addirittura la stima della gente, con certe strane motivazioni, note soltanto a loro, abusino sessualmente di povere creature malcapitate, a cui tolgono dignità e serenità anche se ... le pagano. È ancora questa giustizia? Non commento, non mi pongo domande ma mi limito solo ad esporre alcuni fatti, come indicato qui sopra. Don Giuseppe Mancini [da dove ora è]"

giovedì 5 marzo 2009

Il massimo profitto di pochi...

La ricerca del massimo profitto per pochi, a volte getta nella disperazione i molti. Nel crudele ma necessario gioco di un'economia limitata unicamente dal mercato, si può forse accettare che di fronte alla prova di perdite imminenti, si possa chiudere un'attività. Gli operai e le loro famiglie, pur trovandosi sulla strada, lo capirebbero.
Ma se a far chiudere un'azienda produttiva, c'è solamente la previsione di una contrazione degli utili, allora le cose cambiano. Qui il gioco diventa serio e crudele. Le persone che vengono licenziate sono cittadini. Sono l'ossatura di quello Stato di diritto che garantisce alla stessa azienda di poter operare in un ambito di garanzie. Sono gli azionisti dello Stato.
Può quindi la sola ricerca del massimo profitto, comportare la rovina per tante famiglie? E' giusto che lo Stato non preveda vie di uscita che garantiscano a sua volta i suoi cittadini-azionisti? E' una possibilità compatibile, ad esempio, con il Codice etico o con la Carta dei valori di Confindustria?
Mi chiedo queste cose mentre osservo quanto accade in molti siti produttivi italiani. Viaggiando in macchina, vedo continuamente picchetti di operati davanti ai cancelli delle fabbriche. Chi si fermasse qualche minuto a parlare con loro, potrebbe sentire le loro ragioni. Scoprirebbe che sono persone miti, rassegnate e preoccupate per la loro vita. Accanto a loro qualche telecamera puntata sul politico di turno. Per loro nessun aiuto concreto e risolutivo. Non dobbiamo delegare del tutto la solidarietà allo Stato. Facciamolo pure per quella economica, chiamata Cassa integrazione o Mobilità. Ma quella morale ed umana deve passare attraverso ogni singolo cittadino.
Vorrei dire a tutti di fermarsi almeno una volta presso questi picchetti e parlare con i loro concittadini operai. E' un bel gesto che domani qualcuno potrebbe vedersi restituito. Sono anche convinto che se tutte o quasi le persone si fermassero davanti ad un picchetto, l'attenzione delle istituzioni e delle stesse aziende sarebbe ben diversa. La solidarietà vera, quella dell'Uomo verso l'Uomo, è una forza che muove le montagne.
Io lo sto facendo con gli operai della Carlsberg di Ceccano, vicino a Frosinone. Settanta famiglie attendono a settembre la chiusura definitiva della fabbrica di birra. Sto studiando, preparandomi a scrivere ed a fare qualche cosa per loro. Così facendo aiuto anche me. Spero di diventare infatti una persona ed un cittadino migliore: scusate se è poco. Coraggio amici della Carlsberg!
Edoardo Capulli