martedì 31 marzo 2009
i Maniaci della libera informazione
domenica 29 marzo 2009
Libero arbitrio o Testamento biologico
sabato 28 marzo 2009
PDL e PD, fusione calda e fusione fredda
domenica 22 marzo 2009
Tutta colpa dell’Euro?
Maastricht, l’inflazione ed i prezzi
Innanzitutto bisogna sapere che il trattato dell’Unione Europea all’origine dell’Euro, prevede che i paesi coinvolti abbiano a che fare con un’inflazione sempre al di sotto del 2% annuo. L’inflazione non è altro che la percentuale con cui aumentano i prezzi al consumo. Anche un valore basso, protratto negli anni, porta ad aumenti significativi.Ad esempio in un regime di inflazione costante al 2%, un oggetto che fosse costato l’equivalente di 1€ nel 1995, nel 1997 si sarebbe potuto comprare 1,04€. Nel 2001 lo avremmo trovato a 1,13€ e nel 2005 a 1,22€, per arrivare al 2008 quando per averlo avremmo dovuto sborsare ben 1,29€. Quasi il 30% di aumento complessivo in soli tredici anni, in un regime di inflazione sostanzialmente bassa.
L’ISTAT nella ricerca “Indici e variazioni percentuali per tipologia di prodotti (1996-2009)” ha analizzato la variazione dei prezzi di alcune tipologie di prodotti della nostra spesa . Sono gli alimentari lavorati (pane, pasta, conserve, sughi, succhi, surgelati), quelli non lavorati (carne, pesce, frutta e verdura), i beni non durevoli (prodotti per la pulizia e la cura personale, medicinali), quelli semidurevoli (abbigliamento, calzature e libri) ed infine quelli durevoli (autovetture, arredamento, elettrodomestici). I beni durevoli sono i soli ad aver subito aumenti minori dell’inflazione tendenziale annua del 2%. A crescere in modo superiore a tale riferimento, soprattutto gli alimentari non lavorati, i beni semidurevoli e, nell’ultimo anno, gli alimentari lavorati. Mangiare e vestirsi, due attività che è prudente esercitare con gran frequenza, sono aumentate ben al di quanto ci si potesse aspettare. Dal 1995 fino a fine 2008 gli alimentari freschi sono aumentati del 35% in più rispetto all’inflazione. Ma la vera accelerazione si è avuta dopo il 2001. Infatti da quell’anno al 2008 la crescita totale del loro prezzo ha superato l’inflazione di ben il 48%. Facendo i conti, è come se gli alimentari non lavorati abbiano subito dal 2001 un’inflazione del 2,83% rispetto al semplice 2% tendenziale annuo voluto dall’Europa.
La spesa delle famiglie è fatta anche di servizi come i tributi locali, i trasporti, i pedaggi, i canoni, la telefonia, le poste. E’ fatta inoltre di prodotti energetici come l’energia elettrica, il gas, il riscaldamento, i carburanti ed i lubrificanti. Unendo in delle grafiche queste tipologie di prodotti con quelle viste prima, emerge un quadro più chiaro.
La linea tratteggiata indica l’inflazione media annua del 2%. Si vede chiaramente che tutti i prodotti, con la sola eccezione dei beni durevoli, sono aumentati più dell’inflazione tendenziale del 2%. Dal 2001 al 2008, i servizi sono aumentati con un ritmo del 2,55% all’anno. Nello stesso periodo gli energetici hanno dimostrato una crescita annua del 4,39%.
Un’altra indagine ISTAT, “I consumi delle famiglie Anno 2007”, mostra il peso delle diverse tipologie di prodotti nella spesa delle famiglie. Circa il 61% dei consumi ricadono tra le tipologie di prodotti che hanno avuto gli aumenti più alti. Il 19% è per i soli prodotti alimentari e le bevande. Il 39% degli acquisti ricade nell’ambito di quei beni durevoli che sono aumentati meno dell’inflazione attesa. Sulla base dei dati sui prezzi delle tipologie di prodotto e sulla composizione della spesa si può calcolare che l’inflazione media tra il 2001 ed il 2008,si è attestata attorno al 2,85%. Per chi volesse approfondire i risultati delle rilevazioni sulla dinamica dei prezzi ecco un link interessante:
http://www.istat.it/prezzi/precon/aproposito/archivio.html
In pratica oggi dobbiamo spendere 130 euro per fare la stessa spesa che nel 2001 facevamo con 100. Rispetto ai 100 euro spesi nel 2001 in servizi come tasse locali, trasporti, telefonia, poste, pedaggi, biglietti, oggi ne servono 122. Queste due sole componenti costituiscono circa il 50% della spesa delle famiglie.
E’ sparita mezza busta della spesa…
Riassumendo, dai dati ISTAT possiamo affermare che se nel 2001 con 40.000 lire riempivamo due buste di spesa, oggi con gli equivalenti 20,66 euro, dovremmo riempirne solo una e mezza. Rispetto alla percezione di Mauro e Giovanni, ispiratori di quest’analisi, c’è mezza busta di differenza. Sembra quindi che i dati ISTAT mostrino una situazione meno nera di quanto pensano molti italiani. Chi si sbaglia? “Vox populi, vox dei”, sembra puntare l’indice verso l’Istituto di statistica.
La percezione della gente è volubile e risente spesso di situazioni contingenti. Forse c’è del vero in un’idea persiste immutabile negli anni, come quella di un aumento dei prezzi troppo consistente. Dall’altro lato i metodi di rilevazione dell’ISTAT sono in concreto gli stessi da sempre. Varia solo la composizione del cosiddetto paniere, ossia l’elenco dei prodotti sui si fa il controllo dei prezzi, non senza polemiche. Un errore nel metodo, produrrebbe uno spostamento sistematico dei risultati in una specifica direzione. Vuol dire che in tal caso si avrebbero risultati che si discostano dalla realtà sempre in una direzione, in alto od in basso. Un vizio nell’applicazione della metodologia di rilevazione ISTAT, potrebbe mostrare aumenti dei prezzi sempre un poco minori del vero.
Dove sta l’intoppo
LA RILEVAZIONE ISTAT - Il paniere ISTAT è stato spesso accusato di non essere adeguato ai comportamenti d’acquisto degli italiani. A dire il vero si tratta di una raccolta di prodotti e servizi molto completa. E’ aggiornato tutti gli anni in modo da rappresentare la struttura dei consumi della popolazione. Ad esempio, nel 2003 è stato introdotto il canone abbonamento pay tv, il lettore DVD, il tavolo porta PC, nel 2004 la macchina fotografica digitale, nel 2006 è stato eliminato il tessuto per abiti e sono stati introdotti i jeans per bambini e gli apparecchi per i denti, nel 2008 sono comparsi la console per giochi ed il navigatore satellitare. La fonte principale è l’indagine ISTAT sui consumi che coinvolge ogni anno circa 28mila famiglie italiane. La rilevazione avviene oggi in 84 comuni (20 capoluoghi di regione e 64 di provincia). I prezzi sono rilevati in circa 41mila punti vendita (piccoli esercizi commerciali, grande distribuzione, mercati rionali), ai quali si aggiungono circa 8mila abitazioni per la parte che riguarda gli affitti. Nel complesso, sono circa 413mila le quotazioni di prezzo rilevate ogni mese. I dati sono raccolti attraverso la rilevazione territoriale effettuata dai comuni (80,3%) e quella centralizzata effettuata dall'ISTAT (19,7%).
LA RILEVAZIONE FATTA DAI COMUNI - Qui forse un primo problema è che i dati sono raccolti solo nel 79% dei capoluoghi di provincia. I comuni oggetto della rilevazione sono i maggiori centri abitati e coprono meno del 28% della popolazione. La dinamica dei prezzi nei restanti circa 8.000 comuni, in cui vive oltre il 72% degli italiani, non è osservata e potrebbe essere profondamente diversa.
Delle 533 rilevazioni sui prezzi del 2008, ben 481 sono fatte dai comuni e solo 52 direttamente dall’ISTAT in modo centralizzato. I comuni maggiori sono dotati d’uffici statistici. Tuttavia mai come in questi anni essi hanno presentato un’insieme di problemi sia di tipo economico che di selezione del personale. Da un lato i bilanci dei municipi sono sempre più stretti, al limite del blocco delle attività, dall’altro i vincoli alle nuove assunzioni e la possibilità di affidare incarichi ad personam, può influire sulla qualità dei servizi. Con le ristrettezze dei bilanci dei comuni italiani, si può anche pensare che l’ufficio statistica non sia certo quello su cui investire di più. A garantire sulla bontà del lavoro degli uffici statistici comunali una Commissione Comunale di Controllo, presieduta dal sindaco o da un suo delegato. Questi ha il compito di verificare i prezzi rilevati, le modalità d’elaborazione e l’adeguatezza del numero dei rilevatori impiegati. L'ISTAT, da parte sua, effettua verifiche e controlli di coerenza sulle informazioni che riceve.
Il dubbio è che i comuni non riescano sempre a svolgere questo ruolo in modo adeguato. Chi volesse può chiedere al comune capoluogo di provincia, copia delle verifiche della Commissione di controllo.
LE CONTROMISURE DELLA GRANDE DISTRIBUZIONE – C’è da chiedersi come escludere che la grande distribuzione ed i produttori, avendo capito molto bene la composizione del paniere, possano aver differenziato l’offerta in modo vantaggioso per loro. Ad esempio avrebbero potuto aumentare poco i prezzi dei prodotti controllati, e tanto quelli dei prodotti nuovi e più appetibili. Accanto a un pacco di CHEBUONO, il cui prezzo aumentava piano, avrebbero potuto offrire SuperCHEBUONO, con vitamine o fermenti lattici, più caro e con un prezzo sempre in salita. Se il paniere controlla i rigatoni, possono venir fuori nuovi formati di pasta, eccetera.
Dato che i grandi supermercati controllano la nostra spesa al centesimo, attraverso le cosiddette carte fedeltà, non potrebbe l’ISTAT avvalersi direttamente dei loro dati di dettaglio? Nel caso almeno dei generi di largo consumo è senza dubbio possibile passare da analisi statistiche a vere misurazioni sul campo.
LE DIVERSE TIPOLOGIE FAMILIARI – Nella sezione domande e risposte sugli indici dei prezzi al consumo del sito dell’ISTAT, compare la domanda: “Esiste un modo per calcolare quanto le variazioni di prezzo incidono sui bilanci di spesa di diverse tipologie familiari?”. La cosa è ragionevole viste ad esempio le diverse situazioni di famiglie che debbono pagare un affitto od un mutuo, rispetto a chi ha la casa. L’Istituto stesso spiega come il problema sia sentito a livello europeo ma le soluzioni siano non facili. Senza voler spaccare il capello in quattro, tuttavia credo che si possa chiedere uno sforzo per dare una chiave di lettura, almeno in poche tipologie di massima. Il dichiarare una spesa media abitativa per famiglia senza distinzioni, aiuta poco a capire i problemi di chi arriva con difficoltà a fine mese.
MISTER PREZZI – Dopo le dimissioni di febbraio 2009 del primo Garante della sorveglianza dei prezzi, Antonio Lirosi, nominato da Prodi, il nuovo responsabile è Luigi Mastrobuono. Il suo curriculum pubblicato sul sito di Confindustria, di cui è stato Vice Direttore Generale è questo:
Nato a Roma nel 1954 - Laurea in Giurisprudenza
Ha ricoperto gli incarichi di:
- Amministratore Delegato Bologna Fiere SpA
- Presidente di IPI Istituto per la Promozione Industriale
- Segretario generale di Unioncamere
- Sottosegretario all'Industria con competenza per commercio, artigianato, piccole imprese e fiere
- Segretario generale all'Ente vaticano per il Giubileo 2000
- Segretario generale Confcommercio
- Amministratore Delegato Fiera di Roma S.r.l.
Ha fatto parte dei Consigli di Amministrazione di varie Società, soprattutto di servizi rivolti alle imprese ed ai Sistemi Associativi
A lui il compito di dirigere il nuovo organismo voluto dalla Finanziaria del 2008, al quale il decreto “Brunetta” (D.L. 112/1998) ha tolto l’obbligo di verificare le segnalazioni delle associazioni dei consumatori riconosciute. Il garante è tenuto solamente ad analizzare le segnalazioni ritenute meritevoli d’approfondimento. I risultati delle indagini finalizzate che svolge sono messi a disposizione dell'Autorità garante della concorrenza e del mercato, solo su richiesta.
Proposta per il futuro
VISIONE MULTIPLA – La statistica è una scienza. Tuttavia il pensiero corre alle cantonate prese dagli exit-poll alle elezioni degli ultimi anni. Con un facile gioco di parole può venire anche in mente la grande verità fissata dal genio poetico di Carlo Alberto Palustri, noto con il nome di Trilussa, nei versi su statistica e polli: « … da li conti che se fanno - seconno le statistiche d'adesso - risurta che te tocca un pollo all'anno: e, se nun entra nelle spese tue, t'entra ne la statistica lo stesso perch'è c'è un antro che ne magna due. ». Serve quindi avere un diverso punto di vista per confermare o confutare le statistiche ISTAT. Una prima linea di azione potrebbe essere l’obbligo di chi gestisce le carte fedeltà a consegnare entro un ragionevole periodo, i dati sugli acquisti all’ISTAT. L’Istituto in conformità a questi dati di effettiva misurazione, dovrebbe elaborare degli indicatori per meglio calibrare i propri metodi statistici.
MAGGIORI CONTROLLI – E’ palesemente inutile mantenere le Commissioni comunali di controllo se queste sono presiedute dal sindaco o suo delegato. Meglio invece abolire questi organismi, separando il controllato dal controllore. Anziché quindi limitare i poteri di verifica e di controllo del Garante della sorveglianza dei prezzi, si dovrebbe assegnargli il compito di fare indagini periodiche sulla qualità dell’azione degli uffici statistici comunali. Tale possibilità dovrebbe poter essere estesa anche alle associazioni di categoria dei consumatori. In tal modo potranno emergere eventuali inadeguatezze sia nel metodo che nelle risorse comunali preposte a registrare i prezzi.
MAGGIORE COORDINAMENTO – Il Garante per la concorrenza, quello per la sorveglianza dei prezzi, l’ISTAT, le associazioni dei consumatori, dovrebbero avere un migliore coordinamento. Una quota rilevante dell’attività di ciascun soggetto consiste nel riproporre in altra salsa il lavoro fatto dagli altri. Si dovrebbero definire ruoli distinti in modo da rendere maggiormente incisiva l’azione di ciascun soggetto, una volta definiti gli obiettivi. Nel caso dei prezzi l’obiettivo non deve essere solo quello di misura corretta dell’inflazione, importante per i parametri europei. A fianco ci deve essere anche la volontà di limitare gli abusi volti ad aumentare la spesa delle famiglie italiane per l’utilità di pochi speculatori.
RICERCHE E STUDI – Devono essere stimolati studi e ricerche volti a proporre metodologie alternative di misurazione dell’andamento dei prezzi, non basati sempre e in ogni caso sul lavoro ISTAT. Un’accorta politica di defiscalizzazione dei contributi per ricerche svolte in ambiente universitario o presso Istituti di ricerca, potrebbe attrarre fondi di aziende interessate ad affinare le politiche di marketing. Il vantaggio, in termini di chiarezza e di conoscenza sarebbe però di tutti.
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mercoledì 11 marzo 2009
La Carlsberg di Ceccano e gli operai che “non servono” più
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domenica 8 marzo 2009
Lettera degli operai della Carlsberg di Ceccano all'assessore regionale
Ceccano 8 marzo 2009
Dott.ssa Tibaldi,
Con la presente, le maestranze della Carlsberg Italia di Ceccano (Fr) vogliono ringraziarla per l’impegno fin qui profuso alla nostra causa di disagio che proviamo non solo per il rischio (sempre più concreto) della perdita del lavoro, ma per la dignità di cui ci sentiamo defraudati come uomini, madri e padri.
Le istituzioni sembrano aver compreso che questa situazione della Carlsberg di Ceccano ha poco a che fare con una crisi di così grande proporzione, bensì trattasi di una sensibile mancanza di lungimiranza del gruppo Carlsberg. Infatti il nostro sito altamente qualificato ha contribuito alla forte immagine “Carlsberg”, producendo un prodotto riconosciuto a livello europeo dalla Carlsberg Italia stessa. Negli ultimi cinque anni infatti, le accise sulla birra sono aumentate di circa il 60%, causando ai produttori italiani una riduzione dei propri margini di guadagno e consentendo così l’ingresso di prodotti stranieri a prezzi altamente concorrenziali. Le chiediamo accoratamente di farci da portavoce affinché le richieste fatte ai vari esponenti politici, ci conducano ad un tavolo ministeriale, che affronti non solo il problema degli ammortizzatori sociali più efficaci e straordinari come questa crisi richiede, ma di trovare una soluzione industriale che ci consenta di recuperare la nostra dignità. Ciò potrebbe favorire un eventuale vendita concedendo a chi ne fosse interessato di vedersi sgravare di alcuni oneri fiscali, inserendo Ceccano nella “zona franca” essendo Ceccano stessa polo industriale di Frosinone. Tale richiesta vorremmo la rammendasse al presidente Marrazzo al quale l’abbiamo già presentata, in occasione della sua venuta a Ceccano nei giorni scorsi. Certi del suo personale interessamento le rinnoviamo la nostra stima e gratitudine anche per essere qui oggi.
I dipendenti Carlsberg di Ceccano