venerdì 21 agosto 2009

Aziende in crisi e proteste dei lavoratori

Quando si subisce un'ingiustizia, si desidera protestare. Il significato del verbo "protestare" è "attestarsi dinanzi" per manifestare pubblicamente il proprio diritto di fronte all'offesa. Il lamento è una forma riservata, ma la protesta è sempre pubblica. In passato si sono viste manifestazioni contro discariche, centrali, ferrovie, che colpivano con azioni di disturbo sociale molto criticabili. C'era la brutta abitudine, forse passata di moda, di occupare i binari o le strade. Questo era poco civile ed inefficace. Chi ha perso una giornata di lavoro per un blocco ferroviario non sposa le ragioni dei manifestanti.


Una protesta civile, anche se dura e decisa, riesce invece ad attrarre la solidarietà di molti. E' il caso della vicenda INNSE di Milano, come pure di altre famosissime azioni di cui Tie-an-Men o la rivoluzione del Mahatma Gandhi, sono i più alti esempi. Di fronte alla protesta cerco di capirne le motivazioni e la forma, prima di aderire. Ad esempio, da ragazzo non saltavo le lezioni per manifestazioni politiche che non riguardavano il mio ruolo di studente. Tuttavia ero tra gli organizzatori degli scioperi contro l'inefficienza della scuola. Tutt'oggi non condivido le oceaniche manifestazioni genericamente "contro" il governo di turno, democraticamente eletto. Capisco meglio proteste che portino argomenti di discussione in relazione a singoli fatti od atteggiamenti.



Quest’introduzione serve per parlare delle numerose e recenti proteste dei lavoratori di aziende in crisi. L'economia di mercato, pur se mediata dalle leggi sociali, prevede che le aziende debbano necessariamente ricercare un utile. Un imprenditore che non lo facesse, rischierebbe addirittura una denuncia. Se l'azienda va in crisi, le misure per la sua salvaguardia sono anche tagliare i costi e ridimensionare la produzione. Se questo fosse assolutamente impossibile allora nessuna persona sana di mente investirebbe soldi in imprese. Senza imprese non ci sarebbero neppure lavoratori.

Ci sono però almeno altri due soggetti interessati ai risultati delle aziende. Sono i lavoratori ed i cittadini tutti. I primi sono la vera forza produttiva ed investono il loro futuro nell'impresa in cui operano. Lo stipendio ripaga il loro lavoro, una sana gestione ed un solido piano produttivo compensano la loro lealtà. I cittadini sono espressione della società civile che con le sue norme, i contributi ed i servizi logistici come strade e ferrovie permettono alle imprese di svilupparsi in un ambiente favorevole. Nessuna azienda prospererebbe se non fosse assicurata la legalità e non ci fossero infrastrutture pubbliche adeguate.

Per questo, nella ricerca dell'utile a tutti i costi, devono essere stabilite alcune regole. Le aziende hanno oggi forse troppa libertà nel creare problemi sociali, senza che vi sia certezza di un motivo valido. Alle persone fisiche gli Stati chiedono il rispetto di alcuni doveri, come ad esempio quello di contribuire al benessere collettivo della società. Questo dovere, sancito dalla Costituzione, manca in misura simile per le aziende, ossia per le persone giuridiche. I doveri delle imprese dettati dal Codice Civile, non costituiscono un vero equivalente ai doveri degli individui. Si potrebbe ad esempio impedire che in periodi di crisi economica generale, si facciano tagli di personale e ristrutturazioni per la sola salvaguardia degli utili degli azionisti, senza una vera utilità per la salute economica dell'azienda nel mercato. Si dovrebbero passare ad un vaglio severissimo le dismissioni di imprese che hanno beneficiato di aiuto pubblico, o che prefigurino speculazioni immobiliari.

Abbiamo visto tutti quanti danni possano fare una gestione della finanza e della Borsa fini a se stesse e dominate dalla speculazione. La dimensione economica delle imprese non è certamente misurata dal loro valore in borsa, ma dall'economia generata nel mercato. A volte però i top manager preferiscono accontentare subito i loro azionisti anche a costo di tagli di personale.
Per evitare questo, ai lavoratori deve essere assicurata una tutela attenta e non dipendente dalla dimensione della loro impresa. Ai cittadini ed alla società deve essere garantito che l’economia locale che sostengono con il loro lavoro, non sia messa in pericolo da basse speculazioni. Nelle realtà industriali, l'utilità generale è non disperdere una capacità produttiva che arricchisce l'intera collettività. L'interesse di mantenere viva la fabbrica, ancorché difeso dai lavoratori che tutelano il loro posto, è di tutti i cittadini. Solo nel caso in cui il mercato condanni quella produzione, non essendo possibile fare una riconversione, si deve poter arrivare alla chiusura. In tutti gli altri casi serve un occhio vigile ed una mano tesa. Nel caso delle aziende di servizi la cosa è più complessa. L'interesse generale deve curare il mantenimento di quelle realtà di servizio maggiormente specializzate ed innovative. In tutti gli altri casi il mercato è un giudice implacabile. Anche qui ci deve essere una mano pubblica che sostenga i lavoratori, soprattutto nel percorso di reinserimento in ambiti lavorativi alternativi. Pare che in Italia manchino migliaia di panettieri, falegnami, fabbri, parrucchieri. Di certo mancano corsi per riconvertire i lavoratori licenziati, aiutandoli in un percorso di reinserimento possibile.

In questi giorni la protesta dei vigilantes di Roma, è un’eco stonata di quella della Innse di Milano. Nella città lombarda si è salvata una capacità produttiva altamente specializzata, anche se coinvolgente un numero non molto alto di lavoratori. Nel caso di Roma sembra accadere il contrario. Una lettera aperta al Prefetto di Roma, scitta dai sindacati di Roma, spiega bene come stiano le cose (LINK a Libero-news.it). Qui un'azienda pubblica di vigilanza, che impiega con pesanti perdite oltre mille dipendenti, viene trasformata in impresa di diritto privato. I livelli occupazionali vengono mantenuti come pure gran parte dei diritti acquisiti. Una soluzione che evita la chiusura e garantisce i lavoratori, instaurando una forma di gestione più adatta all'interesse pubblico. La protesta di questi lavoratori non ha forse motivazioni altrettanto condivisibili di quella di Milano.
Altro eco del caso Innse è la vertenza alla Manuli di Ascoli. Si tratta di un caso maggiormente simile a quello milanese. Qui vi è la possibile chiusura di uno stabilimento produttivo. Anche nelle Marche si registra il tardivo interessamento delle amministrazioni locali, che si muovono solo quando il fragore della notizia può danneggiarle. Mi viene da chiedermi dove fossero gli amministratori provinciali (LINK AGI News) che prima di ferragosto mandavano una formale richiesta alla Manuli di sospensione della mobilità, quando un anno fa l’azienda era lasciata sola ad affrontare la crisi.

Dove sta il sostegno all'economia locale, l'attenzione alle politiche di sviluppo e di occupazione nella gestione ordinaria dell’amministrazione locale? Ma chi vogliono incantare i presidenti di Provincia ed i sindaci, correndo sempre e solo troppo tardi a fare la figura dei "salvatori della patria" quando le crisi sono già scoppiate? Chi gli da il diritto di trascurare così tanto i loro doveri pubblici prima, per ergersi poi a grandi strateghi delle cosiddette "soluzioni concordate"? La legge attribuisce a Regioni, Province e Comuni compiti di programmazione socio-economici e di sviluppo. In realtà le imprese sono lasciate da sole a gestire il loro sviluppo e le loro crisi. Sfido chiunque a trovare traccia di concreti interventi di sostegno all’economia, di mantenimento dell’occupazione e di sviluppo, nell’ultimo anno, fatti dalle amministrazioni locali.

I tre casi di protesta sopra richiamati, denunciano situazioni simili per alcuni aspetti, ma diverse nella sostanza. Ad esse si sommano decine di altre vertenze che localmente alimentano un senso di insicurezza sul futuro di molti italiani. Ricordo solo la vicenda a me cara della Carlsberg di Ceccano che forse i lettori di LEXCIVILIS.it ricordano. La vera lezione è di non fare di tutte le erbe un fascio e di mantenere la capacità di saper distinguere. Prego tutti di non bollare queste vicende con sentenze rubate dai “luoghi comuni” più frequentati. Non serve a nessuno sposare ciecamente una protesta o le ragioni di un imprenditore, solo per partito preso.

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dal Blog LEXCIVILIS di Edoardo Capulli